Per Pannella esauriti gli aggettivi. Non l’ammonimento di Pasolini . di Luigi Amicone

Luigi Amicone 2 maggio 2020 Politica
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Oggi questa sorta di cardinale Borromeo del cosmopolitismo anarcoide e liberale avrebbe compiuto 90 anni. Un atto di memoria e resistenza antifascista, in suo onore

Cronache dalla quarantena / 49
Ieri erano duemila anni, all’incirca, dalla caduta da cavallo di Saulo di Tarso. Oggi Marco Giacinto Pannella avrebbe compiuto 90 anni. Lungi da me stabilire nessi sacrileghi. Per l’uno e per l’altro. Ma come ieri ci siamo affidati a Maria, e con noi la Chiesa ha affidato alla Madonna l’Italia, così noi oggi faremo a Radio radicale una sfilata di amici del fondatore affidandoci alle nostre personali memorie di Marco Giacinto Pannella. Che per impeto militante, zelo missionario, passione per il combattimento a tu per tu, ha qualcosa di certamente simile all’apostolo di noi Gentili.
Naturalmente, fatte le debite proporzioni tra due personalità di carisma incrollabile, ma collocabili – almeno per quanto ne sappiamo noi – ai poli opposti su un immaginario palcoscenico della storia. Servo di Dio l’uno. Considerando tutto quanto non sia acquisto e immedesimazione a Gesù Cristo, “niente”. O più precisamente e testualmente, “spazzatura”. Preteso signore e redentore di se stesso, Il secondo, cioè “liberale”, predicatore di una buona novella immanentista, Prometeo di noialtri, e infine culturalmente trionfatore, pur senza essere mai stato sollevatore di nessuna massa popolare, a cavallo tra il primo e secondo millennio, di un’Italia definitivamente secolarizzata. Italia con in valigia – che non è più la valigia di cartone dei nostri genitori emigrati dal Sud, ma è la borsa Vuitton della pelle del Nord – le due grandi novità di “diritto” che nel giro di un ’68 e dintorni si spargeranno di schianto nel mondo, a rappresentare l’individuo diventato finalmente “progredito”, con religione e bibbia a se stesso.
Divorzio e aborto. Venendo dappresso, droghe, eugenetica ed eutanasia. Celebrati e conquistati addirittura come diritti Onu, democratici, umani. Insomma, Pannella una specie di Pico della Mirandola della politica in mezzo a una comunità italiana di personalità e partiti di talento – un Andreotti, un Amendola, un La Malfa, un Craxi – tanto per ripetere qualche nome imponente – che però non avevano capito da che parte andava preso il verso del mondo.
Pannella mi diceva (sì, a me che in diverse occasioni – a cominciare da un comizio avversario a Napoli, inizi anni Ottanta, lui pro, io contro lo spinello libero; e, per finire, in un lungo colloquio dal sapore vago di confessione in sede radicale a Roma – l’ho amichevolmente avvicinato standogli di fronte con simile a lui gusto del combattimento): «Io e Giussani non ci siamo mai frequentati ma ci siamo sempre stimati. Allora, quand’è che mi invitate al Meeting di Rimini?». Nonostante il sottoscritto (o forse, a causa del sottoscritto), non l’hanno mai invitato. Ma si capisce perché Pannella e il carducciano don Giussani del «Tu sol – pensando – o Ideal sei vero”, si intendevano.
«Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più “radicale” di altri… Noi non “facciamo i politici”, i deputati, i leader… lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere» (Marco Pannella, Scritti e Discorsi 1959-1980, Gammalibri, Milano, 1982).
In effetti Paolo incendiò il mondo dell’annuncio evangelico e, con la grazia di Dio, portò a Cristo l’intera civiltà greca e romana. In pratica, un uomo riuscì nell’impresa di cristianizzare tutto il pianeta allora conosciuto. Pannella, volendo essere transnazionale e paolino, si fece invece guardare con rispettosa curiosità dal mondo internazionale. Riuscendo in qualche caso anche ad approfittare delle blandizie dei potenti di questo mondo.
Niente di più, niente di meno, riuscì a sfondare da solo il muro della storia fasciocomunista italiana, umiliare il Pci, la Dc e tutte le chiese, sopravanzando una storia secolare di cattolici del non expedit, poi democristiani contro il genio di don Sturzo (oggi più vivo che mai mentre la Dc l’è morta per sempre). Una storia di laici clericali e laici anticlericali, divisi in tante casate ma tutte dominate – le une e le altre – prima dalla religione di Gentile e poi da quella di Gramsci – infine battuti tutti in breccia dai quattro gatti di radicali di Pannella: i gatti di quella rivoluzione dei diritti crescenti, che trasformò il Pci in «partito radicale di massa» (Del Noce). E l’Italia in un partito di massa del relativismo in salsa bon vivant e buon borghese.
Non voglio dilungarmi oltre. C’è così tanto di interessante nella biografia di questa sorta di cardinal Federigo Borromeo del cosmopolitismo anarcoide e liberale, con tutti gli aggettivi del caso e che non a caso Pannella si auto affibbiò lui stesso medesimo («radicale, socialista, liberale, federalista europeo, anticlericale, antiproibizionista, antimilitarista, nonviolento e gandhiano»), che non voglio qui neppure accennare a far concorrenza ai libri di storia.
Mi interessa però tornare qui a ricordare, ora e sempre, come atto di memoria e resistenza antifascista vera, l’ammonimento che Pier Paolo Pasolini fece ai radicali, nel discorso preparato proprio per il loro congresso del novembre 1975, a cui Pasolini partecipò da morto, assassinato. Ragione per cui il discorso venne letto e recitato, con ammirevole sentimento tragico, dallo stesso “ammonito” Marco Giacinto Pannella.
«(…) So che sto dicendo delle cose gravissime. D’altra parte era inevitabile. Se no cosa sarei venuto a fare qui? Io vi prospetto – in un momento di giusta euforia delle sinistre – quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita. Vi richiamo a quanto dicevo alla fine del paragrafo quinto: il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione “creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili”.
Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità. Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera (…)».

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