Taiwan è l’ultimo posto libero nel mondo sinofono. Il presidente Tsai Ing-wen riuscirà a preservare la democrazia?

Taiwan è l’ultimo posto libero nel mondo sinofono. Il presidente Tsai Ing-wen riuscirà a preservare la democrazia?

Articolo di Charlie Campbell per TIME Magazine, apparirà nell’edizione del 20 gennaio 2020 

 

All’inizio degli anni ’80, una giovane studentessa di Taiwan appena arrivata alla London School of Economics sentì bussare alla porta del suo dormitorio. Una copia di studenti britannici era lì per chiedere a Tsai Ing-wen se voleva abbonarsi a un giornale. Nello spirito di collegialità accettò prontamente. “Solo più tardi ho scoperto che si trattava di un giornale comunista,” dice ridendo a TIME. “Alla fine ho detto loro di tenere il mio assegno ma di non inviarmi più il giornale.”

 

Più di trent’anni dopo, il leader politico di Taiwan sta ancora respingendo le aperture indesiderate di sinistra. Presidente eletta dell’isola autonoma di 23 milioni di persone nel 2016, Tsai si è impegnata ad allontanarla ulteriormente dall’orbita cinese. Taiwan ha il suo esercito, il suo passaporto e la ventunesima economia più grande del mondo. Ma dal 1949, quando le forze di Mao Zedong poserò fine ad una guerra civile cacciando dalla terraferma i nazionalisti che trovarono rifugio sull’isola a 160 chilometri, il Partito comunista cinese (PCC) l’ha considerata una provincia rinnegata che deve essere riunita con la Cina, con la forza se necessario. Durante gran parte della Guerra Fredda, l’enclave capitalista è stata protetta dall’Occidente. Ma in un mondo che la Cina ora punta a guidare, dopo aver abbracciato le forze del mercato, la posizione di Taiwan è diventata solo più vulnerabile.

 

Così anche quella di Tsai. Nel gennaio del 2019, Xi Jinping dichiarò che l’unificazione attraverso lo Stretto di Taiwan faceva parte della “grande tendenza della storia”, e la sua campagna a tal fine si è intensificata. Il primo mandato di Tsai fu segnato dall’isolamento diplomatico, dalla morsa economica e dalle ripetutte minacce di invasione. Taiwan trova sempre meno spazio di manovra tra la riunificazione forzata e il ricorso alla forza per mantenere la sua indipendenza. Tsai ha corso un grave rischio nel dicembre 2016, quando ha telefonato al presidente eletto statunitense Donald Trump per congratularsi con lui per la sua vittoria elettorale. La chiamata è stata la prima tra leader americani e taiwanesi da quando gli Stati Uniti hanno riconosciuto il dominio del PCC sulla Cina, compresa Taiwan, nel 1979. In un’intervista a TIME, Tsai definì la conversazione “una cosa molto naturale”. Ma è stato considerato un affronto da parte di Pechino, aggravato dal fatto che Trump ha suggerito che gli Stati Uniti potrebbero rivedere la questione dello status di Taiwan come parte della Cina.

 

Così il presidente statunitense ha aggiunto un nuovo tasello di incertezza alla linea sottile su cui si muove Taiwan da 70 anni. Storicamente, anche dopo aver abbracciato Pechino, gli Stati Uniti hanno mantenuto un’alleanza forte bensì non ufficiale con Taiwan. Ma poiché Trump si è impigliato con la Cina su questioni cha vanno dal commercio al cyberespionage, a Taiwan alcuni temono che la famosa politica transazionale del leader americano possa considerare l’isola come una pedina da scambiare con qualcos’altro, come un accordo commerciale preferenziale. “Se Taiwan diventa un grosso problema tra Trump e Xi, nessuno sa cosa potrebbe fare Trump,” afferma la professoressa Shelly Rigger, esperta in Asia orientale presso il Davidson College nella Carolina del Nord.

 

Mentre Taiwan si avvicina alle elezioni dell’11 gennaio, la domanda è se la gente si fida ancora di Tsai per salvaguardare il loro stile di vita democratico. Il suo principale avversario, il candidato nazionalista e sindaco di Kaohsiung Han Kuo-yu, spera di convincere gli elettori che lavorare a stretto contatto con un Pechino sempre più influente e assertivo alla fine proteggerò meglio la sovranità di fatto dell’isola. “Taiwan ha una unica scelta: impegnarsi con la Cina, perché non possiamo nasconderci,” ha detto recentemente agli studenti della Stanford University.

 

Ma il Partito progressista democratico di Tsai non sostiene l’idea che l’isola e la terraferma siano lo stesso paese. L’indipendenza formale di Taiwan è un obiettivo chiave nello statuto del partito. Pechino dice che qualsiasi mossa per “secedere” verrebbe accolta con una risposta militare e Tsai ha pragmaticamente eluso la questione mentre era al potere. Ma la sua politica di dare la priorità al rinforzo dei legami con altre nazioni asiatiche ha profondamente turbato la leadership del Partito comunista, così come il suo pieno sostegno ai manifestanti democratici di Hong Kong.

 

Ora il futuro di Taiwan – senza rivali il posto più libero nel mondo sinofono – come faro liberale, democratico e alleato degli USA in asia è sotto “assalto costante”, dice Tsai, mentre Pechino stringe il cappio sulle popolazioni nella sua periferia, dallo Xinjiang al Tibet, e ovviamente a Hong Kong. Il PCC vede queste elezioni come un’opportunità per fare lo stesso con Taiwan, afferma Tsai, qualcosa che è determinata a prevenire: “Pechino vorrebbe vedere una Taiwan divisa, vedere lo stallo della nostra economia e del nostro sviluppo, per creare un punto d’appoggio migliore per influenzare le relazioni tra le due sponde dello Stretto. Tuttavia, quando si tratta della sovranità, della democrazia e della libertà di Taiwan, credo che il nostro popolo sia principalmente d’accordo tra di loro.”

 

Tsai, 63 anni, è un tecnocrate ed ex accademico che ha cercato di scrollarsi di dosso la reputazione di distacco con un programma vertiginoso di eventi di campagna elettorale. In un solo giorno, TIME l’ha seguita in una scuola materna, in una fattoria, in una conferenza tecnologica e in una mezza dozzina di templi. In un altro giorno ha ispezionato delle esercitazioni militari prima del tè in un ritiro di artisti. Spera che questo tipo di politica possa invertira un declino della sua popolarità durante il suo primo mandato in carica, segnato da divisioni interne al partito, riforme pensionistiche indesiderate, e scandali imbarazzanti come quello dell’uso dei viaggi ufficiali all’estero dalle guardie del corpo per contrabbandare sigarette. La sua decisione di rendere Taiwan il primo posto in Asia per legalizzare il matrimonio omosessuale ha scatenato una feroce reazione conservatrice. Tuttavia, Tsai, lei stessa mai sposata, rimane orgogliosa del risultato, che “dimostra che Taiwan è una società aperta e inclusiva e una democrazia piuttosto matura”.

 

Soffre anche del tipo di populismo risorgente che affligge le democrazie in tutto il mondo. L’ascesa virale del suo avversario nazionalista è stata talmente precipitosa da essere chiamata “onda Han”.  Durante la sua corsa vincente di sindaco, i suoi discorsi da brivido e le promesse stravaganti – dal trivellare petrolio nel contestato Mar Cinese Meridionale e di portare casinò e la Formula 1 a Kaohsiung – hanno automaticamente sollevato dei paragoni con il 45° presidente degli Stati Uniti. “Non puoi avere una conversazione su Han Kuo-yu senza che verrà menzionato Donald Trump,” dice Rigger. “Tutti vedono i parallelismi tra quei due.”

 

Tsai non è cieca dinanzi ai rischi. “L’ascesa della disinformazione e del populismo comportano delle grande sfide per leader e governi nel mondo intero.” Eppure, con un Pechino rapace in agguato che tira le corde, la sfida per Taiwan è maggiore. Nei mesi precedenti il voto, Taiwan è stata colpita da uno tsunami di false notizie mascherate da storie vere sui media partigiani e sensazionalisti, spesso prendendo di mira Tsai. La sua amministrazione e analisti indipendenti affermano che una larga parte ha origine nell’United Front – dipartimento di propaganda del PCC – sebbene il governo cinese neghi tale campagna.

 

Tsai non si è data per vinta, conquistando gli elettori con rinnovato zelo e pubblicando video sui social media del suo amore per i due gatti e i tre cani guida pensionati che ha adottato. La chiave per proteggere la democrazia di Taiwan, dice, sta nella “partecipazione pubblica ai nostri sforzi per contrastare la disinformazione”. E se i numeri dei sondaggi sono affidabili, ha funzionato.

 

Il suo crescente vantaggio potrebbe anche essere spiegato dalle turbolenze in corso a Hong Kong, che per oltre sei mesi è stata convulsa dalle proteste pro-democrazia e contro la stretta di Pechino. Lo scorso gennaio, Xi ha suggerito che il sistema di semiautonomia di Hong Kong, noto come “un paese, due sistemi”, potrebbe alla fine essere un modello per Taiwan. Ma quell’idea ha riscontrato scarso sostegno tra i cittadini di Taiwan, e ancor meno ora che i disordini hanno travolto l’ex colonia britannica. “[La situazione di Hong Kong] ha ovviamente influenzato negativamente la fiducia del popolo taiwanese nella Cina,” afferma Tsai.

 

Tuttavia, Taiwan è stata risucchiata dalla crisi crescente. I suoi cittadini hanno marciato a sostegno del diritto all’autodeterminazione di Hong Kong e hanno offerto rifugio sicuro ai manifestanti in fuga. A ottobre, Taiwan ha espulso un turista continentale per aver vandalizzato un monumento pubblico a sostegno delle manifestazioni. Nell’attacco alle libertà lì, Tsai vede un terribile avvertimento per il suo popolo. “Vedendo questi sviluppi a Hong Kong, il popolo taiwanese sente il bisogno di un leader in grado di resistere, di insistere su ciò su cui bisogna insistere e di esprimere chiaramente la propria volontà,” afferma Tsai.

 

Se Tsai verrà rieletta questo sabato, dovrà guidare Taiwan in un periodo di profonda incertezza, poiché il peso geopolitico di Pechino continua a crescere. Oggi, l’isola – ufficialmente conosciuta come “Repubblica di Cina”, il nome antecedente la guerra civile – viene bloccata da Pechino dall’ingresso nelle Nazioni Unite o da gruppi di libero scambio potenzialmente redditizi. Ora è riconosciuta da soli 15 paesi dopo che sette sono passati a Pechino durante il suo primo mandato.

 

Pechino sta spremendo l’isola anche economicamente. Ad agosto, ha bloccato la libera circolazione di turisti cinesi indipendenti verso Taiwan, un introito lucrativo che nel 2018 comprendeva 82.000 arrivi al mese. La domanda ardente per Taiwan è quanto lontano Pechino sia disposto di andare. “La Cina sta già adottando misure simili a quelle della Russia in Crimea,” afferma il Ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, riferendosi all’annessione della penisola ucraina. Inoltre, dice, sono stati i rallentamenti dell’economica cinese a fomentare disordini interni, quindi Taiwan potrebbe rivelarsi “un capro espiatorio molto facile”.

 

Al fine di mitigare il rischio, Taiwan ha cercato di diffondere la sua influenza indirettamente, costruendo legami culturali, economici e umanitari. Durante la recente crisi presidenziale in Venezuela, ad esempio, Taiwan è stato uno dei pochi attori in grando di inviare gli aiuti necessari oltre il confine con la Colombia. Per potenziare il suo soft power, Taiwan offre cooperazione internazionale in aree non convenzionali come l’alfabetizzazione mediatica e il disaster recovery. “Molti dei nostri alleati sostengono ancora Taiwan perché condividono con noi gli stessi valori e non si faranno influenzare dagli incentivi economici della Cina,” afferma Tsai.

 

Tuttavia, poiché poche piccole nazioni possono ignorare la diplomazio del dollaro di Pechino, i legami di Taiwan con gli Stati Uniti hanno assunto una nuova rilevanza. Negli ultimi anni, gli USA si sono mossi per contrastare i tentativi della Cina di isolare la sua provincia ribelle, provocando non poco l’ira di Pechino. Nel marzo 2018, Trump ha firmato il bipartisan Taiwan Travel Act, che aumenta lo scambio di funzionari di alto livello. Poi, lo scorso ottobre, un disegno di legge statunitense per proteggere Taiwan dalla pressione diplomatica cinese ha ottenuto l’approvazione del Senato. Nello stesso mese, l’ex candidato alla presidenza repubblicana Ted Cruz è diventato il primo senatore statunitense in 35 anni per unirsi alle celebrazioni della Giornata Nazionale di Taiwan, consolidando un “rapporto di amicizia che non è mai stato così importante mentre Taiwan si oppone all’oppressione del Partito Comunista Cinese,” ha raccontato a TIME.

 

Una delle prime priorità di Tsai in caso di rielezione sarà quella di rafforzare queste alleanze al Congresso americano. Potrebbe averne bisogno, poiché si ritiene che le ambizioni della Cina si estenderanno ulteriormente. Nel Mar Cinese Meridionale, ha militarizzato isole e scogliere contese, trasformandole in fortificazioni chiamate “portaerei inaffondabili”. A settembre, le nazioni Pacifiche di Kiribati e le Isole Salomone hanno ristabilito i loro legami diplomatici con la Cina, una mossa che il governo Tsai ritiene possa rafforzare la posizione di Pechino nella regione. “La Cina li ha presi con una mossa strategica,” afferma Wu. “Se la comunità internazionale non reagisce in modo forte, la Cina potrebbe apportare delle modifiche al Pacifico nello stesso modo del Mar Cinese Meridionale.”

 

Sebbene Pechino insista sul fatto che queste e altre fortificazioni sono di natura meramente difensiva, Tsai non ci crede. “La capacità militare della Cina è in continua crescita, e ha delle chiare intenzioni espansionistiche.” Il pericolo è che le campane d’allarme possano essere ignorate da un mondo così intrecciato economicamente con Pechino, compresi gli Stati Uniti. Ma per Taiwan, non c’è scelta. Gli isolani saranno, come sempre, in piedi nella breccia.

 

 

 

1 Comment

  • Ermanno MASCIULLI 27 Gennaio 2020

    la peggior democrazìa è migliore della miglior dittatura – Pertini. Il pianeta scivola verso la mondializzazione. Quando gli USA democratici Guerrafondai, riusciranno in questo progetto democratico di Mondializzazione, saranno loro a gestire l’intero pianeta? Non c’è da sospettare che la Mondializzazione sarà la peggiore delle peggiori dittature?

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