Un milione di persone sono incarcerate nei Gulag cinesi. Sono riuscito a fuggire. Ecco cosa succede davvero dentro.

Un milione di persone sono incarcerate nei Gulag cinesi. Sono riuscito a fuggire. Ecco cosa succede davvero dentro.

Stockholm, 17 Ottobre 2019 – Stupri, torture ed esperimenti umani. Sayragul Sauytbay offre una testimonianza di prima mano da un campo di “rieducazione” nello Xinjiang. Un articolo approfondito di David Stavrou per Haaretz riporta i dettagli su ciò che accade realmente nei “campi di rieducazione” cinesi nella Regione autonoma dello Xinjiang.

 

Venti prigionieri vivono in una piccola stanza. Sono ammanettati, hanno la testa rasata, ogni movimento è monitorato da telecamere a soffitto. Un secchio nell’angolo della stanza gli serve da bagno. La routine quotidiana inizia alle 6 del mattino. Imparano il cinese, memorizzando le canzoni di propaganda e confessando peccati inventati. Variano in età da adolescenti a anziani. I loro pasti sono scarsi: zuppa torbida e una fetta di pane.

La tortura – chiodi di metallo, l’estrazzione delle unghie, scosse elettriche – ha luogo nella “stanza nera”. La punizione è una costante. I prigionieri sono costretti a ingoiare delle pillole e farsi fare delle iniezioni. Secondo lo staff servono a prevenire le malattie, ma in realtà sono soggetti umani di esperimenti medici. Molti dei detenuti soffrono di declino cognitivo. Alcuni uomini diventano sterili. Le donne vengono regolarmente violentate.

Tale è la vita nei campi di rieducazione della Cina, come riportato in una rara testimonianza fornita da Sayragul Sauytbay (pronunciato: Say-ra-gul Saut-bay, come in “bye”), un insegnante che è fuggita dalla Cina e ha ottenuto l’asilo politico in Svezia. Pochi prigionieri sono riusciti a uscire dai campi e a raccontare la loro storia. La testimonianza di Sauytbay è ancora più straordinaria perché durante la sua prigionia fu costretta a fare l’insegnante nel campo. La Cina cerca di vendere i suoi campi al mondo come dei luighi di programmi educativi e di riqualificazione professionale, ma Sauytbay è una delle poche persone in grado di offrire una testimonianza credibile e diretta di ciò che accade realmente nei campi.

Ho incontrato Sauytbay tre volte, una volta in un incontro organizzato da un’associazione uigura svedese e due volte, dopo aver accettato di raccontare la sua storia ad Haaretz, in interviste personali che si sono svolte a Stoccolma e sono durate diverse ore. Sauytbay parla solo kazako, e quindi abbiamo comunicato tramite un interprete, ma era evidente che parlava in modo credibile. E’ stata composta durante la maggior parte del tempo in cui abbiamo parlato, ma al culmine del suo racconto dell’orrore, le lacrime le sono salite negli occhi. Gran parte di ciò che affermato ha confermato testimonianze precedenti di prigionieri fuggiti in Occidente. La Svezia le ha concesso l’asilo perché a seguito della sua testimonianza l’estradizione in Cina l’avrebbe messa in pericolo mortale.

Ha 43 anni, musulmana di origine kazaka, cresciuta nella contea di Mongolküre, vicino al confine cinese-kazako. Come centinaia di migliaia di altri, la maggior parte dei quali uiguri, una minoranza di etnia turca, anche lei è stata vittima della repressione della Cina di ogni segno di una spinta isolazionista nella provincia nord-occidentale dello Xinjiang. Un gran numero di campi è stato costruito in quella regione negli ultimi due anni, come parte della lotta del regime contro ciò che definisce i “Tre Mali”: terrorismo, separatismo ed estremismo. Secondo le stime occidentali, tra uno e due milioni di residenti della provincia sono stati incarcerati nei campi durante la campagna di oppressione di Pechino.

Sacco nero

Da giovane, Sauytbay ha completato gli studi medici e ha lavorato in un ospedale. Successivamente ha perseguito una carriera da insegnante ed è stata impiegata al servizio dello stato, responsabile di cinque scuole materne. Anche se si trovava in una situazione stabile, lei e suo marito avevano pianificato per anni di lasciare la Cina con i loro due figli e trasferirsi nel vicino Kazakistan. Ma il piano ha riscontrato ritardi e nel 2014 le autorità hanno iniziato a raccogliere i passaporti dei dipendenti pubblici, tra cui Sauytbay. Due anni dopo, poco prima che i passaporti di tutta la popolazione fossero confiscati, suo marito fu in grado di lasciare il paese con i bambini. Sauytbay sperava di unirsi a loro in Kazakistan non appena avesse ricevuto un visto di uscita, ma non è mai arrivato.

“Alla fine del 2016, la polizia ha iniziato ad arrestare le persone di notte, in segreto,” racconta Sauytbay. “Era un periodo socialmente e politicamente incerto. Le telecamere sono apparse in ogni spazio pubblico; le forze di sicurezza hanno intensificato la loro presenza. Ad un certo punto, sono stati prelevati campioni di DNA da tutti i membri delle minoranze della regione e le nostre schede SIM telefoniche sono state confiscate. Un giorno, siamo stati invitati a una riunione di alti funzionari pubblici. C’erano forse 180 persone presente lì, impiegati negli ospedali e nelle scuole. Gli agenti di polizia, leggendo un documento, annunciarono che presto sarebbero stati aperti centri di rieducazione per la popolazione, al fine di stabilizzare la situazione nella regione.”

Per stabilizzazione, i cinesi si riferivano a ciò che percepivano come una prolungata lotta separatista condotta dalla minoranza uigura. Attacchi terroristici sono stati perpetrati nella provincia già negli anni ’90 e nei primi anni 2000. A seguito di una serie di attacchi suicidi tra il 2014 e il 2016, Pechino ha lanciato una politica dura e senza freni.

“Nel gennaio 2017, hanno iniziato a prendere le persone con parenti all’estero,” afferma Sauytbay. “Sono venuti a casa mia di notte, mi hanno messo un sacco nero in testa e mi hanno portato in un posto che sembrava una prigione. Sono stata interrogato da agenti di polizia che volevano sapere dove fossero mio marito e i miei figli e perché fossero andati in Kazakistan. Alla fine dell’interrogatorio mi fu ordinato di dire a mio marito di tornare a casa e mi fu proibito di parlare dell’interrogatorio. ”

Sauytbay aveva sentito che in casi simili, le persone che erano tornate in Cina erano state immediatamente arrestate e mandate in un campo. Con questo in mente, dopo il suo rilascio, ha interrotto i contatti con suo marito e i suoi figli. Il tempo passò e sua famiglia non tornò, ma le autorità non cedettero.  È stata ripetutamente prelevata per interrogatori notturni e falsamente accusata di vari reati. “Dovevo essere forte,” dice. “Ogni giorno, quando mi svegliavo, ringraziavo Dio di essere ancora viva.”

La svolta è arrivata alla fine del 2017: “A novembre 2017, mi è stato ordinato di presentarmi ad un indirizzo nella periferia della città, di lasciare un messaggio a un numero di telefono che mi era stato dato e di aspettare la polizia.” Dopo il suo arrivo nel luogo designato, Sauytbay ha lasciato il messaggio. Arrivarono quattro uomini armati in uniforme che le coprirono di nuovo la testa e la misero in un veicolo. Dopo un’ora di viaggio, arrivò in un luogo sconosciuto che presto capì fosse un campo di “rieducazione”, e che sarebbe diventata la sua prigione per i mesi seguenti. Le fu detto che era stata portata lì per insegnare il cinese e le fu immediatamente fatto firmare un documento che stabiliva i suoi doveri e le regole del campo.

“Avevo molta paura di firmare,” ricorda Sauytbay. “Diceva che se non avessi adempiuto al mio compito, o se non avessi obbedito alle regole, avrei ottenuto la pena di morte. Il documento affermava che era vietato parlare con i prigionieri, vietato ridere, vietato piangere e vietato rispondere alle domande di chiunque. Ho firmato perché non avevo scelta. Poi ho ricevuto un’uniforme e sono stata portato in una piccola camera da letto con un letto di cemento e un sottile materasso di plastica. C’erano cinque telecamere sul soffitto: una in ogni angolo e un’altra nel mezzo.”

Gli altri detenuti, quelli che non erano gravati da compiti di insegnamento, subivano condizioni più severe. “C’erano quasi 20 persone in una stanza di 16 metri quadrati. C’erano delle telecamere nelle loro stanze e anche nel corridoio. Ogni stanza aveva un secchio di plastica per gabinetto. A ogni prigioniero venivano dati due minuti al giorno per usare il bagno e il secchio veniva svuotato solo una volta al giorno. Se si riempiva prima, si doveva aspettare di utilizzarlo fino al giorno successivo. I prigionieri indossavano uniformi e le loro teste erano rasate. Le loro mani e piedi erano incatenati tutto il giorno, tranne quando dovevano scrivere. Anche durante il sonno erano incatenati e dovevano dormire sul loro lato destro – chiunque si girasse veniva punito.”

Sauytbay doveva insegnare ai prigionieri – che erano di lingua uigura o kazaka – delle canzoni di propaganda del Partito comunista e cinesi. Era con loro per tutto il giorno. La routine quotidiana iniziò alle 6 del mattino. L’istruzione cinese aveva luogo dopo una colazione irrisoria, seguita da ripetizioni e apprendimento pratico. C’erano degli orari specifici per l’apprendimento delle canzoni di propaganda e la recitazione di slogan da manifesti: “Adoro la Cina”, “Grazia al Partito comunista”, “Sono cinese”, e “Adoro Xi Jinping”, il Presidente della Cina.

Le ore pomeridiane e serali erano dedicati alle confesioni di crimini e offese morali. “Tra le ore 16 e 18, gli alunni dovevano pensare ai loro peccati. Quasi tutto poteva essere considerato un peccato, dall’osservare le pratiche religiose e il non conoscere la lingua o la cultura cinese, al comportamento immorale. I detenuti che non riuscivano ad inventare peccati o peccati ritenuti abbastanza gravi venivano puniti.”

Dopo cena, si continuava con i peccati. “Quando gli alunni finivano di mangiare, dovevano stare in piedi di fronte al muro con le mani alzate e pensare di nuovo ai loro crimini. Alle 22 avevano due ore per scrivere i loro peccati e consegnare le pagine ai responsabili. La routine quotidiana continuava fino a mezzanotte e talvolta i prigionieri erano assegnati anche i turni di guardia durante la notte. Gli altri potevano dormire da mezzanotte fino alle sei.”

Sauytbay stima che ci fossero circa 2.500 detenuti nel campo. La persona più anziana che incontrò era una donna di 84 anni; il più giovane, un ragazzo di 13 anni. “C’erano scolari e operai, uomini d’affari e scrittori, infermieri e dottori, artisti e semplici contadini che non erano mai stati in città.”

Sai in quale campo ti trovavi?

Sauytbay: “Non ho idea di dove si trovasse il campo. Durante il mio soggiorno lì, non mi è stato permesso di lasciare il terreno nemmeno una volta. Penso che fosse un edificio nuovo, perché aveva una grande quantità di cemento a vista. Le stanze erano fredde. Avere rapporti con gli altri era proibito. Uomini e donne erano separati negli spazi abitativi, ma durante il giorno studiavano insieme. In ogni caso, c’erano poliziotti che supervisionavano tutto dappertutto.”

Cosa mangiavi?

“C’erano tre pasti al giorno. Tutti i pasti includevano zuppa di riso acquosa o zuppa di verdure e una piccola fetta di pane cinese. Il venerdì veniva servita carne, ma era carne di maiale. I detenuti furono costretti a mangiarlo, anche se erano religiosamente osservanti e non mangiavano carne di maiale. Il rifiuto comportava la punizione. Il cibo era cattivo, non c’erano abbastanza ore per dormire e l’igiene era atroce. Il risultato fu che i detenuti si trasformarono in corpi senza anima.”

Peccati e aborti

I comandanti del campo avevano messo da parte una stanza per la tortura, dice Sauytbay, che i detenuti hanno soprannominato la “stanza nera” perché era vietato parlarne esplicitamente. “Ci sono tutti i tipi di torture lì. Alcuni prigionieri furono appesi al muro e picchiati con manganelli elettrificati. C’erano prigionieri che venivano fatti sedere su una sedia di chiodi. Ho visto la gente tornare da quella stanza coperta di sangue. Alcuni sono tornati senza unghie.”

Perché le persone venivano torturate?

“Punivano i detenuti per tutto. Chi non seguiva le regole veniva punito. Chi non imparava correttamente il cinese o non cantava le canzoni veniva punito.”

E cose quotidiane come queste venivano punite con la tortura?

“Ti darò un esempio. C’era una donna vecchia nel campo che prima del suo arresto faceva il pastore. È stata portata al campo perché accusata di parlare con qualcuno all’estero per telefono. Questa era una donna che non solo non aveva un telefono, ma non avrebbe nemmeno saputo come usarne uno. Sulla pagina dei peccati che i detenuti furono costretti a compilare, scrisse che la chiamata di cui era stata accusata non aveva mai avuto luogo. In risposta fu immediatamente punita. L’ho vista quando è tornata. Era coperta di sangue, non aveva le unghie e aveva la pella strappata. ”

In un’occasione, la stessa Sauytbay è stata punita. “Una notte, circa 70 nuovi prigionieri furono portati al campo. Una di loro era un’anziana donna kazaka che non aveva nemmeno avuto il tempo di mettersi le scarpe. Mi ha visto kazaka e ha sollecitato mio aiuto. Mi ha implorato di tirarla fuori di lì e mi ha abbracciato. Non ho ricambiato il suo abbraccio, ma sono stata comunque punita. Sono stata picchiata e privato del cibo per due giorni.”

Sauytbay afferma di aver assistito a procedure mediche condotte su detenuti senza giustificazione. Pensa che venivano fatte come parte di esperimenti umani condotti sistematicamente nel campo. “Ai detenuti venivano somministrate pillole o iniezioni. Gli fu detto che era per prevenire le malattie, ma le infermiere mi dissero segretamente che le pillole erano pericolose e che non dovevo prenderle.”

Cosa è successo a quelli che li hanno presi?

“Le pillole avevano diversi tipi di effetti. Alcuni prigionieri erano indeboliti cognitivamente. Le donne non avevano più il ciclo mestruale e gli uomini diventavano sterili.” (Perlomeno, quello era una voce ampiamente diffusa).

D’altra parte, quando i detenuti erano davvero malati, non ricevevano le cure mediche di cui avevano bisogno. Sauytbay ricorda una giovane donna, una diabetica, che era stata infermiera prima del suo arresto. “Il suo diabete è diventato sempre più acuto. Non aveva più la forza per rimanere in piedi. Non era nemmeno in grado di mangiare. Quella donna non ha ricevuto alcun aiuto o trattamento. C’era un’altra donna che aveva subito un intervento chirurgico al cervello prima del suo arresto. Anche se aveva una prescrizione per le pillole, non le era permesso di prenderle.”

Il destino delle donne nel campo era particolarmente arduo, nota Sauytbay: “Ogni giorno i poliziotti portavano con sé le belle ragazze e non tornavano nelle stanze tutta la notte. La polizia aveva un potere illimitato. Potevano prendere chiunque volessero. Ci sono anche stati casi di stupro di gruppo. In una delle lezioni che insegnavo, una di quelle vittime è entrata mezz’ora dopo l’inizio della lezione. La polizia le ha ordinato di sedersi, ma lei non era in grado, quindi l’hanno portata nella stanza nera per punizione.”

Le lacrime scorrono sul viso di Sauytbay quando racconta la storia più cupa del suo periodo nel campo. “Un giorno, la polizia ci ha detto che avrebbero controllato per vedere se la nostra rieducazione stava funzionando, se ci stessimo sviluppando correttamente. Portarono fuori 200 detenuti, uomini e donne, e dissero a una delle donne di confessare i suoi peccati. Si presentò davanti a noi e dichiarò di essere stata una persona cattiva, ma ora che aveva imparato il cinese era diventata una persona migliore. Quando ebbe finito di parlare, i poliziotti le ordinarono di spogliarsi e la violentarono uno dopo l’altro, davanti a tutti. Mentre la violentavano, controllavano come stavamo reagendo. Le persone che giravano la testa o chiusero gli occhi, e quelle che sembravano arrabiate o scioccate, sono state portate via e non le abbiamo mai più viste. È stato terribile. Non dimenticherò mai la sensazione di impotenza, di non poterla aiutare. Dopo quell’episodio, fu difficile dormire di notte.”

Le testimonianze di altri incarcerati nei campi cinesi sono simili al racconto di Sauytbay: il rapimento con un sacco nero sopra la testa, la vita in catene e i farmaci che causano declino cognitivo e sterilità. I resoconti degli attacchi sessuali di Sauytbay sono stati recentemente corroborati dai resoconti di altri ex detenuti dei campi dello Xinjiag pubblicati da The Washington Post e The Independent. Alcune donne hanno dichiarato di essere state violentate, altre hanno descritto aborti forzati e inserimento forzata di dispositivi contraccettivi.

Ruqiye Perhat, una donna uigura di 30 anni che è stata detenuta nei campi per quattro anni e che ora vive in Turchia, ha raccontato di essere stata violentata più volte dalle guardie e di essere rimasta incinta due volte, con interruzione forzata di entrambi le gravidanze. “Ogni donna o uomo di età inferiore ai 35 anni è stato violentato e abusato sessualmente,” ha detto al Post.

Gulzira Auelkhan, una donna di 40 anni che è stata incarcerata nei campi per un anno e mezzo, ha detto al Post che le guardie entravano “e mettevano dei sacchi sulle teste delle persone che volevano”. Una guardia kazaka è riuscito a far uscire una lettera in cui racconta dove avvengono gli stupri nel suo campo dello Xinjiang: “Ci sono due tavoli in cucina, uno per spuntini e liquori e l’altro per ‘fare le cose’,” ha scritto.

Il giornalista Ben Mauk, che ha scritto sulla Cina per The New York Times Magazine e altri, ha svolto delle indagini sui campi nello Xinjiang e pubblicato un articolo sulla rivista The Believer contenente i resoconti degli ex prigionieri. Uno è Zharkynbek Otan, 32 anni, che è stato tenuto in un campo per otto mesi. “Nel campo, ci toglievano i nostri vestiti. Ci davano un’uniforme da campo e ci somministravano un’iniezione che secondo loro era per proteggerci dall’influenza e dall’AIDS. Non so se sia vero, ma ha fatto male per alcuni giorni.”

Otan ha aggiunto che da allora è impotente e incline a vuoti di memoria. Ha descritto il campo in cui si trovava come un enorme edificio circondato da una recinzione, dove l’attività veniva monitorata da telecamere appese in ogni angolo. “Potevi ricevere punizioni per qualsiasi cosa: mangiare troppo lentamente, impiegare troppo tempo in bagno. Ci bastonavano. Ci urlavano contro. Quindi tenevamo sempre la testa bassa.”

Orynbek Koksebek, trentanove anni, incarcerato in un campo per quattro mesi, ha detto a Mauk: “Mi hanno portato nel cortile fuori dall’edificio. Era dicembre e faceva freddo. C’era un buco nel cortile. Era più alto di un uomo. Se non capisci, mi dicevano, ti faremo capire. Poi mi hanno messo nel buco. Portarono un secchio di acqua fredda e me lo versarono addosso. Mi avevano ammanettato le mani… Ho perso conoscenza.” Koksebek ha anche raccontato delle chiamate di appello tenute due volte al giorno in cui i prigionieri, con la testa rasata, venivano contati “nel modo in cui conti gli animali nel tuo pascolo”.

Una donna di 31 anni, Shakhidyam Memanova, ha descritto così il regime cinese della paura e del terrore nello Xinjiang:“Fermano le macchine ad ogni angolo, controllano i nostri telefoni, entrano nelle nostre case per contare il numero di persone all’interno… persone vengono incarcerati per avere delle foto di star del cinema turche sui loro telefoni, nuove madri vengono separate dai loro bambini e costrette a lavorare in fabbriche come schiave.” Più tardi nella sua testimonianza ha aggiunto che i bambini venivano interrogati a scuola per sapere se i loro genitori pregassero, e che c’erano divieti di coprire la testa e possedere un Corano.

Sipario di segretezza

La regione dello Xinjiang nella Cina nord-occidentale è molto vasta: più grande di Francia, Spagna e Germania insieme, ospita oltre 20 milioni di persone. Circa il 40 percento della popolazione è cinese Han, la maggioranza etnica della Cina, ma la maggioranza nello XInjiang è costituita da minoranze etniche, principalmente gruppi musulmani turchi. Il più grande di questi sono gli uiguri, che costituiscono circa la metà della popolazione della regione; altri gruppi etnici includono kazaki, kirghisi e altri.

Lo Xinjiang divenne parte della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 e ottenne uno status autonomo. Negli ultimi decenni, la regione ha subito drammatici cambiamenti sociali, politici ed economici. Originarmente una zona agricola tradizionale, lo Xinjiang è ora in fase di rapida industrializzazione e crescita economica alimentata dalla produzione di minerali, petrolio e gas naturale e dal fatto che è un centro molto importante della Belt and Road Initiative, il fulcro dell’espansione economica globale della Cina.

“Dagli anni ’50, il governo cinese ha investito molto nello Xinjiang,” afferma Magnus Fiskesjö, antropologo dell’Università di Cornell, specializzato in minoranze etniche in Cina.

“Gran parte di questi investimenti è gestito da un’impresa militare governativa chiamata Bingtuan [abbreviazione di Xinjiang Production and Construction Corps], la cui attività, insieme a varie misure economiche e politiche adottate dal governo centrale, ha creato risentimento tra la popolazione locale. Furono discriminati e stavano diventando una minoranza nella loro stessa terra perché le autorità trasferirono masse di cinesi Han nello Xinjiang. La tensione tra i popoli di minoranza e i cinesi Han non è solo il risultato di sentimenti religiosi o di una specifica impresa economica. Deriva da una vasta gamma di politiche cinesi di cui la popolazione nativa non beneficia. Le tensioni hanno raggiunto un punto di ebollizione in diverse occasioni, e in alcuni casi si sono trasformati in violenze organizate e attacchi terroristici.”

La stragrande maggioranza delle minoranze nello Xinjiang è contraria alla violenza, ma a volte gli uiguri radicali sono stati in grado di dettare il tono. Fiskesjö elabora: “Il governo cinese ha utilizzato questi conflitti e attacchi terroristici per dipingere l’intera popolazione dello Xinjiang come terroristi e per avviare una campagna di cancellazione dell’identità culturale della popolazione. I cinesi stanno cancellando le culture minoritarie sia dall’arena pubblica che da quella privata. Stanno criminalizzando le identità etniche, cancellando ogni traccia dell’Islam e delle lingue minoritarie, arrestando cantanti, poeti, scrittori e personaggi pubblici. Stanno trattenendo circa il 10 percento dei gruppi etnici minoritari nei gulag dei nostri giorni.”

Secondo Fiskesjö, inzialmente i cinesi negarono queste affermazioni, ma quando immagini e documenti trapelarono in Occidente e le immagini satellitari mostrarono campi in costruzione in tutta la regione, Pechino ha revisto il suo racconto. Ora i funzionari ammettono che è in corso una campagna legale volta a combattere il radicalismo e la povertà attraverso centri di rieducazione professionale.

“L’affermazione cinese che si tratta di campi di riqualificazione professionale e che i detenuti non sono lì per coercizione è una bugia eclatante,” dice Nimrod Baranovitch, del dipartimento di studi asiatici dell’Università di Haifa. “Conosco direttamente e indirettamente centinaia di persone che sono state incarcerate nei campi e non hanno bisogno di riqualificazione professionale. Intellettuali, professori, medici e scrittori sono scomparsi. Uno di questi è Ablet Abdurishit Berqi, uno studente post dottorato che era qui con noi a Haifa. Spero sia ancora vivo.”

Baranovitch trova sorprendente che i paesi musulmani stiano ignorando la repressione cinese. “Per parecchi paesi, stiamo parlando non solo di quelli co-religiosi, ma anche di affinità etnica, poiché gli uiguri sono di origine turca. Il fatto è che molti stati musulmani sono coinvolti nel progetto Via della Seta [Belt and Road Initiative]. Secondo me, uno dei motivi per la promozione di quel progetto, la cui logica economica non è sempre chiara, è quello di facilitare l’eliminazione del problema uiguro. Tramite investimenti e la promessa di ulteriori investimenti enormi nel futuro, la Cina ha acquistato il silenzio di molti paesi musulmani.”

Infatti, lo scorso luglio, una lettera urgente sullo Xinjiang al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite degli ambasciatori di 22 paesi ha ricevuto risposta da una lettera di sostegno alla Cina da parte di rappresentanti di altri 37 stati, tra cui Arabia Saudita, Siria, Kuwait e Bahrein.

Un fattore che rende più facile al mondo rimanere silente sugli eventi nello Xinjiang è che la Cina ha effettivamente chiuso questa immensa regione dietro una cortina di segretezza, attraverso la sorveglianza e lo spionaggio, la censura di Internet e dei social network, le restrizioni di viaggio e il divieto di contatto dei residenti con parenti e altri all’estero, insieme a attività di polizia, supervisione e controllo su vasta scale. Secondo Fiskesjö, questi sforzi nascondono un vero genocidio – secondo la definizione ONU del termine del 1948 – anche se le misure non includono atti diffusi di omicidio.

“I bambini vengono prelevati dai loro genitori, confinati nei campi di concentramento, e vengono messi in orfanotrofi cinesi,” dice. “Le donne nei campi ricevano inoculazioni che le rendono sterili, i cinesi entrano nelle case private e sradicano la cultura locale, e c’è una punizione collettiva diffusa.”

Accuse di tradimento

La storia di Sayragul Sauytbay ha avuto una svolta sorprendente nel marzo 2018 quando, senza alcun preavviso, è stata informata che sarebbe stata rilasciata. Ancora una volta la sua testa fu coperta con un sacco nero, di nuovo fu impacchettata in un veicolo, ma questa volta fu portata a casa. Inizialmente gli ordini erano chiari: doveva riprendere la sua precedente posizione di direttore di cinque scuole materne nella sua regione di origine di Aksu, e le fu ordinato di non dire una parola su ciò che aveva passato. Tuttavia, il terzo giorno di lavoro è stata licenziata e nuovamente portata per un interrogatorio. Fu accusata di tradimento e di mantenere legami con persone all’estero. La punizione per persone come lei, le fu detto, è una rieducazione, solo che questa volta sarebbe stata una detenuta regolare in un campo e sarebbe rimasta lì per un periodo da uno a tre anni.

“Mi è stato detto che prima di essere inviata al campo, dovevo tornare a casa in modo da passare le consegne al mio successore. A quel punto non vedevo i miei figli da due anni e mezzo e mi mancavano molto. Essendo già stata in un campo, sapevo cosa significasse. Sapevo che sarei morta lì, e non potevo accettarlo. Sono innocente. Non ho fatto niente di male. Ho lavorato per lo stato per 20 anni. Perché dovrei essere punita? Perché dovrei morire lì?”

Sauytbay decise che non sarebbe tornata in un campo. “Mi sono detto che se fossi già destinata a morire, almeno avrei cercato di scappare. Valeva la pena prendere il rischio perché forse avrei potuto vedere i miei figli. C’erano dei poliziotti di stanza fuori dal mio appartamento e non avevo un passaporto, ma nonostante ciò, ci provai. Sono uscita da una finestra e sono fuggita a casa dei vicini. Da lì ho preso un taxi fino al confine con il Kazakistan e sono riuscita a passare di soppiatto. In Kazakistan ho trovato la mia famiglia. Il mio sogno è diventato realtà. Non avrei potuto ricevere un regalo più grande.”

Ma la saga non finì qui: immediatamente dopo la riunione emozionante con la sua famiglia, fu arrestata dal servizio segreto del Kazakistan e incarcerata per nove mesi per aver attraversato il confine illegalmente. Tre volte ha presentato una domanda di asilo e tre volte è stata respinta; ha affrontato il pericolo di essere estradata in Cina. Ma dopo che i suoi parenti hanno contattato diversi media, sono intervenuti delle personalità internazionali e alla fine le è stata concesso l’asilo in Svezia.

“Non dimenticherò mai il campo,” dice Sauytbay. “Non posso dimenticare gli occhi dei prigionieri, aspettandosi che facessi qualcosa per loro. Sono innocenti. Devo raccontare la loro storia, raccontare l’oscurità in cui si trovano, la loro sofferenza. Il mondo deve trovare una soluzione in modo che la mia gente possa vivere in pace. I governi democratici devono fare tutto il possibile per fare smettere alla Cina di fare ciò che sta facendo nello Xinjiang.”

Alla richiesta di rispondere alla descrizione dell’esperienza di Sayragul Sauytbay, l’ambasciata cinese in Svezia ha scritto a Haaretz che il suo resoconto è una “bugia totale e un attacco di vilipendio contro la Cina. Sauytbay non ha mai lavorato in un centro di educazione vocazionalenello Xinjiang, e non è mai stata detenuta prima di lasciare la Cina” – cosa che ha fatto illegalmente, aggiunge la lettera. Inoltre, “Sayragul Sauytbay è sospettata di frode creditizia in Cina con debiti non pagati [di] circa 400.000 RMB” (circa $ 46.000).

In anni recenti nello Xinjiang, scrive ancora l’ambasciata, “la Cina è stata seriamente minacciata dal separatismo etnico, dall’estremismo religioso e dal terorismo violento. I centri di istruzione e formazione professionale sono stati istituiti in conformità con la legge per sradicare l’estremismo, che non è un “campo di prigionia”. A seguito dei centri, non vi è stato alcun incidente terroristico nello Xinjinag per oltre tre anni. Il lavoro di istruzione e formazione professionale nello Xinjiang ha ottenuto il sostegno di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang e commenti positivi da molti paesi del mondo.”

 

Article by David Stavrou for Haaretz

Translation by Laura Harth

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