Missione del Partito Radicale nel sud-est asiatico

Dal 26 luglio al 5 agosto una delegazione del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito (PRNTT) è stata in missione nel sud-est asiatico, precisamente in Thailandia e Cambogia, in occasione delle elezioni legislative tenutesi domenica 29 luglio in Cambogia. La delegazione era composta dal Senatore Roberto Rampi, dal membro della Presidenza del Partito Radicale Matteo Angioli, dal corrispondente dall’Asia di Radio Radicale Francesco Radicioni ai quali si è affiancato il Senatore giapponese Yukihisa Fujita che è anche presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato. I luoghi toccati sono stati Bangkok, Phnom Penh e Sihanoukville. I due senatori sono stati presenti solo a Phnom Penh dal 27 al 30 luglio.

Contesto

La Cambogia è un paese di quasi 16 milioni di abitanti, formalmente una monarchia costituzionale parlamentare bicamerale. L’ONU la classifica come uno dei “Paesi meno sviluppati” ed è infatti ampiamente dipendente da aiuti stanziati da paesi terzi. La Cambogia è governata da 33 anni dalla stessa persona, il Primo Ministro Hun Sen, un ex khmer rosso fuggito dal paese nel 1977 e rientrato con il sostegno del Vietnam per rovesciare il regime di Pol Pot. Affermatosi abilmente e rapidamente negli anni dell’occupazione vietnamita della Cambogia, Hun Sen guida il paese ufficialmente dal 1985 con il suo Partito Popolare Cambogiano (PPC) diventando quindi la figura di riferimento anche per gli Accordi di Parigi che nel 1991 siglarono, sotto egida ONU, il passaggio alla democrazia rappresentativa multipartitica, fissata nel 1993 con l’adozione della nuova Costituzione. Negli anni però, nonostante elezioni aperte ad altri partiti, l’alternanza democratica non si è mai realizzata. Anzi, Hun Sen ha continuato ad occupare progressivamente il potere allargando il suo clan e inserendo sempre più pedine nei gangli dello Stato.

L’opposizione si è raccolta attorno a Sam Rainsy, ex Ministro delle Finanze negli anni ’90 quando il governo era costituito da un’alleanza di partiti, tra cui quello del re, guidato da Hun Sen. Finita l’esperienza di Ministro, Rainsy ha animato il Sam Rainsy Party prima e il Cambodia National Rescue Party (CNRP – Partito Cambogiano di Salvezza Nazionale) poi, incrementando in consensi di elezione in elezione, fino a raggiungere addirittura il 44% alle comunali dell’aprile 2017. Ed è stato a quel punto che il vento è cambiato per l’opposizione.

Nel febbraio 2017 Rainsy era già stato raggiunto dall’ennesimo provvedimento ad personam che lo aveva costretto a dimettersi dalla presidenza del CNRP e a far ritorno in esilio a Parigi. Il suo successore, Kem Sokha è stato incarcerato il 3 settembre 2017 con l’accusa di collusione con potenze straniere per rovesciare il governo. Da allora attende di essere giudicato. Il 4 settembre 2017 il Cambodia Daily, principale quotidiano anglofono non asservito al regime è stato chiuso con l’accusa di aver evaso il fisco. Complessivamente, nel 2017, oltre 30 stazioni radiofoniche sono state chiuse, tra cui Radio Free Asia. Ma il colpo di grazia è arrivato il 16 novembre 2017 quando la Corte Suprema, con una sentenza politicamente motivata, ha messo al bando il CNRP radendo al suolo quanto edificato in termini sociali e politici ed escludendolo quindi dalle elezioni del 29 luglio 2018. Giova sottolineare che il presidente della Corte Suprema è un membro del Partito Popolare Cambogiano.

Sam Rainsy è iscritto al Partito Radicale da circa quindici anni, che ha permesso l’esistenza di una lunga collaborazione tra l’opposizione cambogiana e il Partito Radicale. Nel 2003 e 2008 il Partito Radicale è stato in Cambogia con due delegazioni guidate da Marco Pannella in sostegno della compagine di Rainsy. Da alcuni anni, non solo Sam Rainsy, ma l’intera (ormai ex) opposizione parlamentare e circa 200 attivisti della diaspora cambogiana in Europa sono iscritti al Partito Radicale.

La delegazione

La nostra presenza voleva ribadire il sostegno al CNRP nel momento più buio e difficile per l’opposizione e la democrazia in Cambogia e verificare sul terreno le condizioni generali in cui si sarebbero svolte le elezioni. La visita non è stata dunque una missione di osservazione elettorale. Ciò in linea con la decisione di Stati Uniti, UE e Giappone di non inviare nessun osservatore elettorale a causa dell’esclusione dalla competizione elettorale del principale partito di opposizione, il CNRP. Non avendo quindi fatto richiesta per essere registrati come osservatori, non abbiamo avuto accesso ai seggi, ma è stato più che sufficiente immergersi nella realtà esterna ad essi per comprendere quali siano state le violazioni, oltre alla determinante assenza del CNRP, che hanno ulteriormente reso queste elezioni una farsa.

Una posizione leggermente diversa era quella del Senatore Fujita che era ufficialmente presente come “Special Guest” per osservare il corretto uso di alcuni strumenti (per esempio il contenitore delle schede elettorali) che il Giappone aveva fornito alla Cambogia prima di giungere in extremis alle stesse conclusioni di USA e UE di non inviare osservatori elettorali. Grazie al Sen. Fujita, che ha avuto accesso ai seggi e abbiamo raccolto informazioni supplementari.

Sono stati comunque presenti numerosi osservatori elettorali ufficiali, su invito del governo di Hun Sen. Secondo la National Election Commission (NEC) e la Committee for Free and Fair Election (COMFREL) erano oltre 50.000, in gran parte provenienti da Cina, Russia, Singapore, Thailandia, Filippine, Myanmar, Kazakistan. E mentre, all’indomani del voto, questi paesi hanno salutato le elezioni come un successo democratico e si sono congratulati con Hun Sen, Stati Uniti, UE, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, UK, Francia, Germania e Svezia, le hanno invece condannate definendole né libere né corrette.

Bangkok

Andando per ordine, a Bangkok abbiamo incontrato il Vice Rappresentante della Rappresentanza di Taiwan in Thailandia Paul Shek, con cui abbiamo parlato del ruolo sempre più preminente che Taiwian ambisce ad avere nel continente asiatico come riferimento e fulcro del diritto e della democrazia. Nella periferia di Bangkok abbiamo incontrato alcuni rifugiati Montagnard, fuggiti alla continua oppressione esercitata dal governo di Hanoi nei confronti degli indigeni che abitano gli altopiani centrali del Vietnam. I richiedenti asilo e i rifugiati già riconosciuti dall’UNHCR, circa 200 in totale, ci hanno spiegato le difficili condizioni di vita derivanti dalle strutture fatiscenti in cui vivono e dal limbo amministrativo in cui si trovano. Nessuno di loro è infatti autorizzato ad avere un’occupazione legale perché, tra l’altro, la Thailandia non ha ratificato la Convenzione sui Rifugiati. A Bangkok abbiamo potuto parlare anche con l’Ambasciatore italiano in Thailandia Lorenzo Galanti, per informarlo della missione e con Stephen Majors, vice-direttore del programma di aiuti USAID nell’Asia del sud-est. Altro incontro è stato quello con Andrea Giorgetta, direttore dell’Asia desk della Fédération International pour le Droits Humains (FIDH) che ci ha presentato le attività condotte in buona parte del sud-est asiatico e facilitato i contatti con alcune ONG cambogiane. Infine, prima di recarci a Phnom Penh, abbiamo incontrato due membri del CNRP, l’ex deputato Long Ry e l’ex candidato al Senato Mounh Sarath. Sono due dei sei ex parlamentari rimasti in Thailandia che non hanno ancora lasciato il paese nonostante i pedinamenti e le pressioni con cui devono convivere. Long Ry, era anche il responsabile per la sicurezza nel governo ombra cambogiano e ha dovuto lasciare il paese in tutta fretta dopo aver appreso che era finito nella lista di coloro che il regime stava per arrestare. Long e Mounh sono convinti che una delle vie da percorrere per indebolire Hun Sen sia quella delle sanzioni mirate. Sanzioni cioè che colpiscano i singoli membri del governo e non la popolazione. Nelle due ore passate insieme abbiamo avuto anche un ricordo di Marco Pannella che l’ex deputato aveva conosciuto durante la campagna elettorale del 2008.

Phnom Penh

Il 27 luglio la delegazione ha raggiunto la capitale cambogiana Phnom Penh ed è stata subito evidente la onnipresenza del partito di Hun Sen. Gli unici cartelloni e manifesti elettorali che si vedono sono quelli del partito al potere, il PPC. Forme e dimensioni differenti che ritraggono il volto di Hun Sen e il simbolo del partito. Sono davvero rari, e comunque sempre di piccola dimensione, i manifesti degli altri partiti. Il primo incontro è stato con Teav Vannol, ex senatore del CNRP, uno dei pochissimi ex legislatori che ha deciso di non lasciare la Cambogia. Su 66, ne sono rimasti soltanto 13. Siamo stati accolti nella vecchia sede del CNRP, a due passi dal centro della città, ora dissequestrata a seguito di un ricorso e in attesa del pronunciamento finale in tribunale. Nel frattempo Teav è riuscito a riaprirla e a renderla sede del Candle Light Party (partito il cui simbolo è quello usato originariamente da Rainsy per il Sam Rainsy Party) che non ha partecipato alle elezioni sposando la campagna di boicottaggio lanciata dal CNRP. Ci ha mostrato la sede, gli uffici, la sala conferenze, la sala di registrazione per collegamenti radio e per le dirette video su Facebook. Un edificio che impiegava circa cento persone e in cui per molto tempo hanno vissuto giorno e notte Sam Rainsy e soprattutto Kem Sokha. Per quest’ultimo infatti la sede del CNRP era ormai un rifugio contro le intimidazioni che aveva iniziato a subire regolarmente. Teav si è detto intenzionato a ricostruire l’opposizione, senza però entrare nei dettagli sul come data la situazione assolutamente avversa che si è venuta a creare nel paese. Riguardo al voto, il suo pronostico è di un’astensione del 50% contando soprattutto sui tantissimi giovani che non si riconoscono minimamente nell’insopportabile onnipresenza del PPC che fa perdere loro qualsiasi interesse nella politica. Sulle sanzioni ci è sembrato molto duro: ben vengano le sanzioni mirate come proposto dagli Stati Uniti e quelle dell’UE sotto forma di sospensione del tariffario preferenziale sulle importazioni dalla Cambogia in UE noto come “Everything But Arms” (Tutto Tranne Armi). Tutto pur di colpire Hun Sen. Secondo Taev la Cambogia è ormai invasa e dipendente dalla Cina e dunque l’applicazione di entrambe le sanzioni costituisce l’unica via percorribile per contrastare sia il regime di Hun Sen sia l’influenza cinese.

Successivamente la delegazione si è incontrata con due esponenti di altri partiti minori: Loek Sothea del Grassroot Democratic Party (GDP) e Kong Monika del Khmer Will Party (KWP), che non hanno aderito al boicottaggio elettorale. Il GDP è una piattaforma largamente costruita su base rurale e ispirata all’azione di Kem Ley, un attivista molto conosciuto nel paese per le sue inchieste tese a mettere in luce i soprusi del governo soprattutto nei confronti dei cambogiani che popolano le zone più povere del paese. Un’attività che gli è costata la vita essendo stato assassinato nel luglio 2016 a Phnom Penh. Ovviamente come tutti i partiti, il GDP non ha avuto accesso ai media e Facebook non è stato sufficiente ad essere conosciuto. Stesso dicasi per il KWP che addirittura è nato solo tre mesi prima delle elezioni. Entrambe le formazioni sono critiche del CNRP perché avrebbe adottato un approccio troppo avversativo rispetto al PPC e non avrebbe sviluppato una efficace dialettica democratica interna, ma di tipo top-down. Sebbene comprendano l’idea del CNRP di invitare a disertare le urne, ritengono giusto partecipare alle elezioni per inserirsi in qualsiasi spazio possibile, benché ciò contribuisca a dare legittimità ad Hun Sen che infatti difende il processo elettorale essendo stati venti i partiti presenti sulla scheda elettorale.

L’indomani abbiamo incontrato il Rappresentante dell’Alto Commissario ONU ai Diritti Umani in Cambogia Simon Walker e il vice direttore del programma Asia di Human Rights Watch Phil Robertson. Walker ci ha fornito una panoramica della situazione nel paese sottolineando come il regime si vanti del fatto che a differenza di altri paesi, la campagna elettorale non abbia registrato nessun episodio di violenza. Sostanzialmente in Cambogia regna la pace, ma una pace da intendersi come assenza di guerra, non come pace positiva. Se è vero che non ci sono assassinii extra-giudiziari, è pur vero che il sistema giudiziario è corrotto in quanto controllato dal PPC. L’ufficio di Walker cerca di essere presente a tutte le udienze relative a casi di dispute su proprietà terriere per documentare le violazioni nelle operazioni di espropriazioni che si terminano puntualmente con magre compensazioni del governo per i contadini colpiti. Walker ci ha anche illustrato brevemente la situazione carceraria che presenta criticità dovute al sovraffollamento, alle strutture fatiscenti e alla mancanza di personale.

Apprezzando la nostra delegazione, Robertson ci ha offerto un’analisi identica a quella che abbiamo potuto fare grazie alle informazioni che Rainsy continua a diffondere da Parigi e ha commentato con molto interesse la proposta statunitense di stabilire sanzioni contro i membri del regime, auspicando che agli stati Uniti si accodi l’Australia essendo quello il paese straniero in cui molti membri del governo di Hun Sen hanno interessi consistenti e il cui congelamento creerebbe serie difficoltà. Robertson ci ha informati anche della presenza di un’altra delegazione formata da circa 50 parlamentari europei, in carica ed ex, provenienti prevalentemente da paesi dell’est europeo, tutti i paesi del gruppo Visegrad, ai quali si devono aggiungere 7 italiani, un francese e un britannico. Tutti appartenenti a formazioni di estrema destra e tutti invitati da una ONG filorussa denominata “Kian”. Per l’Italia erano presenti tra gli altri, Antonio Razzi, Andrea Dalmastro e Fabrizio Bertot. Intervistato da Francesco Radicioni per Radio Radicale, Razzi ha detto di essere a Phnom Penh sulla strada di Pyongyang e di osservare le elezioni per accertarsi che tutto proceda “a regola d’arte”. La delegazione, che sguazza in un mare d’ignoranza rispetto alle condizioni del paese, dell’opposizione e degli aiuti che l’UE fornisce a questo paese, è stata ricevuta con tutti gli onori da Hun Sen e a fine missione ha espresso soddisfazione per la perfetta organizzazione e lo svolgimento delle elezioni.

Inoltre abbiamo conosciuto due componenti del direttivo di una ONG locale, ADHOC, Chhan Sokunthea e Samantha Shearman. Abbiamo anche avuto uno scambio di opinioni telefonico, perché non è stato possibile incontrarci, con Alejandro Gonzalez Davidson della ONG Mother Nature e con Naly Pilorge di LICADHO attive rispettivamente nel campo dell’espropriazione di terre e nella difesa dei diritti fondamentali.

Il 29 luglio si è consumata la formalità elettorale. Dopo 21 giorni di campagna elettorale (nelle tornate precedenti erano 30 giorni) alle 7 sono stati aperti i seggi. Era possibile votare fino alle 15. Abbiamo cercato di coprire un numero cospicuo di seggi. Per farlo, Radicioni è rimasto a Phnom Penh, mentre Fujita, Rampi e Angioli sono andati nelle periferie e nella provincia di Kandal, a sud di Phnom Penh, a bordo di una vettura fornita dall’Ambasciata del Giappone. Ovunque ci siamo recati, nelle scuole o nei templi adibiti a seggio elettorale, non abbiamo riscontrato tensioni né code particolari. In un paio di occasioni una fila di non più di 10 elettori.

In ogni seggio erano presenti numerosi giovani “volontari”, membri di una ONG creata da uno dei figli di Hun Sen, per coadiuvare il personale di voto. All’entrata di ogni seggio erano inoltre affisse le liste dei nomi degli elettori, con tanto di fotografia, che si erano registrati per votare. Tra questi abbiamo saputo esserci anche quella di Kem Sokha che però è imprigionato nel nord del paese. Complessivamente un’atmosfera stanca e piatta sembrava accompagnare la giornata. Parlando con alcuni locali e con due ex giornalisti della redazione del Phonm Penh Post, abbiamo appreso quali sono gli escamotage approntati dal governo per incoraggiare la partecipazione e verificare che gli elettori andassero alle urne: buste di 5 dollari per andare a votare distribuite ai lavoratori del tessile e dell’immobiliare, sconti sull’acquisto di beni di uso quotidiano, minacce di sospendere lo stipendio per alcuni giorni. Un ex giornalista del Phnom Penh Post ci ha raccontato che per verificare che nei villaggi le famiglie avessero votato “correttamente”, funzionari e/o militanti del PPC spiegavano ad ogni nucleo familiare come votare ovvero: alcuni dovevano fare una X, altri una V, altri un cerchio, altri ancora un meno, una parentesi e così via.

A fine giornata la NEC ha annunciato il dato di affluenza: 82%. Dato che sarebbe aumentato in particolare nelle ultime 2-3 ore prima della chiusura dei seggi. I risultati definitivi saranno annunciati nei prossimi giorni, ma intanto un portavoce del governo ha già dichiarato che il PPC avrebbe vinto tutti i 125 scranni dell’Assemblea Nazionale. Man mano che affluivano i dati sull’affluenza e i primi voti dalle varie provincie, su tre canali differenti, tra cui TVK il principale canale pubblico nazionale, veniva trasmesso un “documentario” propagandistico di celebrazione del leader Hun Sen che ha mantenuto la pace nel paese, neutralizzando il piano destabilizzante dei traditori Rainsy e Sokha volto a portare la guerra civile in Cambogia per mano di potenze straniere e di bande di traditori, facinorosi e drogati.

Il 30 luglio abbiamo incontrato l’Ambasciatore dell’UE in Cambogia George Edgar e quello americano William Heidt. Entrambi hanno ribadito l’importanza di non legittimare queste elezioni con l’invio di osservatori elettorali. Heidt ha condiviso con noi il comunicato del Dipartimento di Stato in cui si afferma che le elezioni non sono state né libere né corrette. Mentre Edgar, in merito alle possibili sanzioni, ha confermato che l’UE ha avviato un’indagine sulla possibile attivazione delle clausole di salvaguardia che dovrebbero portare ad una riduzione o sospensione dell’accordo EBA con la Cambogia.

Sihanoukville

Dall’1 al 4 agosto, dopo la partenza dei senatori Rampi e Fujita, la missione è proseguita nel sud della Cambogia, a Sihanoukville, una città sul mare a 230 km da Phnom Penh, teatro da circa due anni di uno stravolgimento profondo a causa di imponenti investimenti dalla Cina e, in misura assai inferiore, dalla Russia. L’avvento cinese è una fonte di problemi sociali, economici e ambientali non indifferente. Abbiamo avuto modo di parlare sia con alcuni proprietari di un piccolo ristorante nel centro si Sihanoukville, sia con alcuni avventori cinesi. La strategia la conosciamo già: imprenditori cinesi offrono forti somme di denaro ai locali per vendere la proprietà (edificio o terra) e immediatamente affittare o costruire decuplicando il prezzo originario. Il conseguente innalzamento generale del costo della vita costringe molti cambogiani a dover lasciare la città e cercare di ricominciare nelle campagne circostanti o altrove. Sono pochi i residenti locali che possono permettersi di restare. Solitamente lo fa solo chi, rimanendo proprietario di una proprietà, aumenta l’affitto dell’immobile. In caso abbiamo appreso che l’affitto è passato da circa 300$ mensili a oltre 3000$. L’integrazione tra la comunità cambogiana e quella cinese, stimata intorno ai 150.000 ormai, è inesistente. I cartelli e le insegne in khmer e inglese sono sostituiti sempre più da quelli in khmer e cinese, talvolta solo in cinese. Nessuno impara il khmer, anzi i cinesi soppiantano le attività dei residenti cambogiani vendendo anche i prodotti locali. Gli episodi di violenza sono aumentati e con essi anche la prostituzione e il traffico di esseri umani. La città è un enorme cantiere a cielo aperto dove già sorgono numerosissimi casinò e hotel la cui clientela è di fatto esclusivamente cinese. I residenti locali infatti, vuoi per mancanza di denaro, vuoi perché il gioco d’azzardo è vietato in Cambogia, rimangono al di fuori di questo circuito. Sono impiegati come personale nei casinò o nelle costruzioni, ma con salari bassissimi. I locali con cui abbiamo discusso si sono detti molto incerti sul futuro. Per ora gli introiti non sono migliorati e il senso di smarrimento che li caratterizza è dovuto al fatto che nessuna autorità, nessun funzionario, nessuno ha fornito loro la minima informazione sui progetti che stanno trasformando la città. Anche l’impatto ambientale è devastante. Gli spazi verdi nella città e soprattutto le terre che la circondano vengono sottratte ai legittimi proprietari e divorate da colate di cemento. Un lato indubbiamente positivo è lo sviluppo di alcune infrastrutture: ferrovie, strade, elettricità, ma ad oggi sembra davvero poco rispetto ad un’avventura che sembra tagliare fuori la maggioranza dei cambogiani e che non rientra nemmeno nel programma del presidente cinese Xi Jinping della nuova via della seta. Difficile dire con una certa precisione cosa ne sarà di Sihanoukville. Ad oggi la città e la regione assomigliano sempre più ad una provincia cinese.

Conclusioni

In quella che possiamo definire “l’ora più buia” per la popolazione, la democrazia e l’opposizione cambogiana da circa vent’anni a questa parte, il Partito Radicale era presente portando il proprio sostegno a coloro che continuano a credere in un possibile cambiamento nel paese, CNRP in primis. Non è semplice valutare quale seguito e impatto abbia avuto la “clean finger campaign” lanciata da Rainsy, ma almeno per quanto riguarda Phnom Penh escludiamo che si sia recato alle urne l’80% dei cittadini.

Il governo ha presentato le elezioni come una grande prova democratica calcando molto la presenza degli osservatori internazionali da cui trarre legittimità. Poco importa se provenienti da Stati che nulla hanno a che vedere con lo stato di diritto e il rispetto di procedure elettorali democratiche. Così come importa poco se in Assemblea Nazionale 5-10 seggi andranno ai partiti minori. Sarà un atto strumentale a mantenere in vita l’illusione di un sistema multipartitico. In realtà il partito-stato, il partito unico esiste già e si rafforza. Basta pensare che il Senato cambogiano è già monocolore. Eletto indirettamente lo scorso febbraio da tutti i consiglieri comunali e dai deputati, i 62 membri che lo compongono appartengono al PPC. Tra questi, anche i quattro “indipendenti” (di nomina reale e dell’Assemblea Nazionale) sono espressione del PPC.

A questo punto, Hun Sen può apprestarsi a governare per almeno altri cinque anni in cui dedicarsi, tra le altre cose, alla transizione di potere al primogenito Hun Manet. L’operazione di sbarazzarsi dell’opposizione e accrescere il sostegno politico, economico e militare assicurato dalla Cina è riuscita in pieno. E’ su questo che si misurerà la capacità delle democrazie di innescare non solo in Cambogia, ma nell’intera regione del sud-est asiatico, quelle dinamiche di promozione dei diritti politici, sociali ed economici attraverso programmi (come l’EBA) concordati negli anni con la Cambogia e sottoscritti da Hun Sen stesso. Sulla carta, la Cambogia ha una Costituzione, la separazione dei poteri, un parlamento, un processo elettorale, una Corte Suprema e così via, ma sono istituzioni e processi vuoti. Specie alla luce delle ultime elezioni, la Cambogia ha abbandonato il cammino della democrazia per divenire pienamente cleptocrazia in cui, per dirla con le parole del fondatore di Global Witness, Patrick Alley, alla tv australiana ABC: “Non accade niente che sfugga al loro controllo, è la corruzione nella sua forma più alta. Questa è la Cambogia, uno stato mafioso”. Questo deve preoccuparci perché le ripercussioni nell’intera regione del sud-est asiatico e oltre non mancheranno. La Cambogia è divenuta un’autocrazia, o peggio ancora una cleptocrazia, nonostante i decenni di aiuti forniti da Stati Uniti, UE, Giappone e Australia, aiuti che oggi Hun Sen può permettersi di snobbare avendo riportato il suo Stato a gravitare pienamente nella sfera d’influenza cinese.

In conclusione, occuparsi di Cambogia non significa occuparsi semplicemente di un piccolo stato dimenticato dell’Asia. Vuol dire occuparsi dell’intera regione del sud-est asiatico, un territorio cuscino in cui si scontrano valori, principi e interessi tra Cina, UE, USA che si riflettono anche sull’Italia. Gli aiuti allo sviluppo dell’UE hanno permesso di estrarre la popolazione dall’estrema povertà: secondo gli industriali europei il tasso di povertà in Cambogia è passato dal 53% dei primi anni 2000, al 14% di oggi. La cooperazione ha facilitato ai democratici come Rainsy il compito di ritagliarsi spazi di lotta sempre maggiore per rivendicare diritti civili, sindacali, ambientali. Oggi tutto questo non è pensabile se non attraverso insurrezioni e scontri violenti che a questo punto potrebbero esplodere data l’impossibilità di incanalare in un partito di opposizione la richiesta di cambiamento attraverso il dialogo istituzionale. L’UE sapeva che il vento sarebbe cambiato ma non si è mossa per tempo. Oggi cambiare lo status quo è molto più complicato perché large fasce della popolazione sono divenute strutturalmente dipendenti dai nostri aiuti e la loro rimozione potrebbe essere davvero grave.

L’intera regione è una zona cuscinetto attraversata da flussi di interessi politico-economici diversi e contrastanti tra Occidente e Cina. E’ una regione dove per un Myanmar che sembra fare un passo verso la libertà, vi è una Cambogia che regredisce nella dittatura. E in termini di libertà, osservando i membri dell’ASEAN, la tendenza è negativa. Nessuno dei dieci membri può considerarsi uno stato di diritto. Alcuni analisti parlano di “democrazie guidate” oppure di “democrazie controllate” che permettono una maggiore rapidità nel processo decisionale e quindi uno sviluppo e talvolta un ordine maggiore. Ma a quale prezzo? Quello di vivere in assenza di stato di diritto, per cui qualcuno sarà sempre al di sopra della legge.

Matteo Angioli

 

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