Il pg di Cagliari crede alla sua difesa, ma a Roma da tre anni non discutono il caso
Il sospetto, fondato, è che Beniamino Zuncheddu sia innocente e che abbia trascorso
gli ultimi 32 anni della sua vita in carcere ingiustamente dopo la condanna per un
triplice omicidio. La certezza invece riguarda i soliti tempi della giustizia, perché a
tre anni dalla richiesta di revisione del processo, la Corte d’Appello di Roma,
investita del caso, non è si è ancora pronunciata. Nonostante la richiesta sia arrivata
dallo stesso procuratore generale della Capitale Francesco Piantoni. Ieri è arrivato
l’ennesimo rinvio: la Corte ha deciso di sentire il testimone chiave della vicenda e sua
moglie, figlia di una delle vittime. Ma anche il poliziotto che ha condotto le indagini.
Se ne riparla il 13 ottobre, quando si deciderà sull’eventuale sospensione della pena.
LA VICENDA
Tutto comincia l’8 gennaio del 1991, quando in un ovile di Sinnai vengono uccisi tre
uomini: Gesuino Fadda, proprietario dell’allevamento, il figlio Giuseppe e il pastore
Ignazio Pusceddu. Luigi Pinna, marito di una delle figlie di Fadda, viene ferito e si
salva. Ma l’uomo, interrogato, dice che l’assassino aveva un collant sul volto e di non
essere in grado di identificarlo. A distanza di settimane, Pinna cambia versione e
accusa Zuncheddu che riconosce in una foto. Così il pastore di Burcei (altro paese del
Cagliaritano) viene arrestato. A giugno ‘92 la sentenza è definitiva. L’uomo, oggi
59enne, protesta inutilmente la sua innocenza e si dispera, ma non viene creduto.
L’ipotesi della difesa è che il teste chiave sia stato condizionato dal poliziotto che
ebbe l’indicazione da un confidente.
I DUBBI SUL TESTIMONE
Nel 2017 l’avvocato Mauro Trogu, che difende Zuncheddu, avvia le indagini
difensive. Due anni dopo, presenta i riassunti in una bozza di richiesta di revisione, al
Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Cagliari e al Comando provinciale
dei carabinieri di Cagliari, chiedendo l’avvio di nuove indagini per accertare se si
potessero individuare altri responsabili degli omicidi per cui era stato condannato
Beniamino Zuncheddu. È il 2019 quando le verifiche ripartono e la pg Francesca
Nanni decide di risentire Pinna che conferma al magistrato le accuse nei confronti di
Zuncheddu. Ma quando torna in macchina, l’uomo, che non sa di essere intercettato,
dice, in sardo, alla moglie: «Mi volevano far dire che Marieddu (il poliziotto) mi ha
fatto vedere la fotografia prima. Loro hanno capito che è veramente così, ed è la
verità». A questo punto la pg Nanni si convince dell’innocenza di Beniamino
Zuncheddu e inoltra alla Corte d’Appello di Roma un’articolata richiesta di revisione
così il caso finisce a Roma. Viene concesso un nuovo dibattimento. Il pg romano
Francesco Piantoni chiede alla Corte revisione. Ma il tempo trascorre invano, la Corte
ordina una perizia sulle intercettazioni in sardo, in tutto sei. Trascorrono sei mesi, ma
il lavoro del perito viene ritenuto insufficiente. Si decide intanto che le intercettazioni
da esaminare sono 30. E viene incaricato un tecnico per la traduzione delle
conversazioni intercettate che scagionerebbero Zuncheddu. Il deposito avviene nel
novembre del 2022. Intanto la Corte respinge la richiesta di sospensione della pena
avanzata dal legale. E per liberare Beniamino Zuncheddu è stata anche presentata la
richiesta di grazia al Capo dello Stato.
Il 19 settembre davanti a piazzale Clodio è andata in scena una manifestazione
organizzata dal partito Radicale. Presenti Irene Testa, garante dei detenuti in
Sardegna, l’avvocato Mauro Trogu, il sindaco di Burcei Simone Monni e Gaia
Tortora, la figlia di Enzo, simbolo delle vittime della giustizia che sbaglia. «Siamo
fiduciosi – ha commentato Irene Testa – la prossima udienza sarà cruciale e siamo
sicuri che tutto si svolgerà in tempi rapidi». «Sono già quattro anni che siamo in
attesa che la Corte si pronunci sulla scarcerazione di una persona, Beniamino, che è
in carcere da oltre 30 anni. Tutti a Burcei sono convinti della sua innocenza.
Aspettiamo che anche la giustizia italiana lo riconosca» ha commentato Monni.
Di Valentina Errante
Fonte: Il Messaggero