Mi dispiace non poter essere presente. Innanzitutto, per le ragioni per le quali sono costretto a stare
qui, e poi perché ritengo che questo sia un Consiglio generale molto importante.
Questo consiglio si tiene a 7 mesi dal Congresso italiano che si è tenuto in presenza, e nel frattempo
il contesto politico internazionale e nazionale è profondamente mutato.
Che la si chiami guerra o “operazione militare speciale” quella della Russia all’Ucraina è
un’aggressione, una chiara violazione del diritto internazionale. Il connotato criminale di Putin a noi
è sempre stato noto, lo abbiamo denunciato in tutte le sedi alle quali abbiamo avuto accesso,
abbiamo intrapreso iniziative per decine di anni. Sull’invasione cecena credo che non vi sia stata
organizzazione al mondo impegnata più del Partito Radicale a denunciare le atrocità, a cercare di
far intervenire il mondo occidentale con le sue istituzioni, nazionali ed internazionali. Abbiamo avuto
ospite a Roma da iscritto e dirigente del Partito Radicale Umar Khanbiev ex Ministro della Sanità del
Governo ceceno in esilio.
Un riscontro a questa nostra attività si è avuto nella primavera del 2000 quando la Russia, a quel
tempo già putiniana, chiese – attraverso l’ambasciatore russo all’ONU Sergej Lavrov, attuale ministro
degli Esteri russo – l’espulsione del Partito Radicale dal Consiglio Economico e Sociale dell’ONU (di
cui faceva parte dal 1995 e continua a far parte, come ONG con Status consultivo). L’espulsione era
stata giustificata perché avevamo fatto intervenire alla Commissione Diritti umani di Ginevra il
parlamentare ceceno Akhyad Idigov.
Alcuni mesi dopo, il 16 ottobre 2000 viene ritrovato morto con segni di torture Antonio Russo,
iscritto al Partito Radicale e corrispondente di Radio Radicale dalla Georgia, dove seguiva la guerra
in Cecenia.
Già nel febbraio del 1994 a Mosca era avvenuta la morte in circostanze non chiare di Andrea
Tamburi, che si era trasferito lì per aprire la sede del Partito Radicale.
Il fatto che oggi Putin aggredisca l’Ucraina per aggredire i valori occidentali, lo stato di diritto,
chiarisce definitivamente, ammesso che ne avessimo bisogno, chi sono gli avversari della libertà. E
non a caso, a partire dalla Cina, stanno costruendo un fronte comune delle antidemocrazie.
Nonostante questa chiarezza, la chiarezza di una guerra dichiarata alle nostre aspirazioni, il fronte
occidentale non ha ancora capito che è necessario rispondere celermente e che è necessario farlo
a livello istituzionale. E non solo ai nostri valori: le frontiere europee confinano con quelle russe e,
giusto per fare un esempio, Odessa è ad appena milletrecento chilometri da Trieste
Siamo d’accordo sulle sanzioni contro la Russia e sull’aiuto alla difesa militare degli aggrediti.
Certo, salutiamo positivamente la decisione di dichiarare Ucraina e Moldova “Paesi candidati”
all’ingresso nell’Unione Europea, giusto perché è meglio questo che niente.
Ma questa è l’Europa che si è giocata la possibilità di integrare la Turchia, prima che divenisse quella
che è stata costretta ad essere, che la tiene alla porta insieme a Macedonia del Nord, Montenegro,
Serbia, Albania; mentre giacciono in attesa di essere valutate le richieste di Bosnia Erzegovina e
Georgia. Questa è l’Europa che non è in grado di abbattere il muro che insiste a Cipro e che è il
simbolo dell’incapacità dell’Unione europea.
Questa Europa non ha realizzato, nemmeno in questo frangente, un tentativo di dibattito di riforma
istituzionale. Proveranno a passare dalle decisioni prese all’unanimità al voto a maggioranza, se ci
riusciranno e chissà quando.
C’è necessità d’altro, e se non è l’Unione europea a costruirlo, lo devono fare alcuni paesi europei.
Questa guerra ci insegna che è indispensabile una sola politica estera, una sola diplomazia, un
esercito unico (e non solo una “difesa europea” con l’”ambizione” di avere 5-6.000 uomini.
Questa guerra ci sta indicando che è necessario che tutti i grandi problemi del nostro tempo che
sono problemi transnazionali trovino luoghi istituzionali sovra-nazionali nei quali trovare adeguate
soluzioni aldilà degli interessi nazionali.
E’ diventato di dominio pubblico di massa che dalla politica energetica alla politica alimentare, c’è
una interconnessione planetaria di fattori che possono portare al razionamento di gas e luce fino
alla prevista riduzione allo stato di estrema povertà per arrivare alla denutrizione e, in alcune aree,
alla morte per fame.
E qui torniamo al 1979, anno che fu proclamato dalle Nazioni Unite Anno Internazionale del
Fanciullo, mentre in contemporanea l’Unicef pubblicava un rapporto dal quale risultava che oltre
17 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni sarebbero morti nel corso di quello stesso anno di
malattie e privazioni che avevano tutte la stessa origine di fondo: la fame e la malnutrizione.
Pannella allora denunciò il dramma dello sterminio per fame nel mondo e accusò i governi dei paesi
“ricchi” di rendersi di fatto complici del nuovo olocausto, essendo la malnutrizione nel mondo più il
frutto di un vero e proprio “disordine economico internazionale” che di una penuria di alimenti.
Quel “disordine economico internazionale” resta prepotentemente sulla scena e mai c’è stato da
parte di una istituzione occidentale non dico un tentativo di mettere ordine in quel disordine, ma
almeno di aprire una riflessione.
Tornano i mostri prodotti dai nazionalismi che non sono più solo incapaci di dare una risposta di
governo ai problemi planetari ma, proprio per il loro ristretto orizzonte, contribuiscono ad
amplificarli anche nel ristretto recinto delle loro nazioni.
Avessimo le energie umane e finanziarie oggi dovremmo riprendere quel percorso di riflessione e di
proposta. Dovremmo rilanciare l’idea di Stati Uniti d’America e d’Europa, anche se oggi è ancora
lontano dalla realtà e dal dibattito l’ipotesi di una europa federale, degli Stati Uniti d’Europa.
Dovremmo riproporre la Comunità della e delle democrazie, che avevamo immaginato anche con
statuti e regole nel 2002.
Dovremmo fare la campagna per il riconoscimento all’ONU del nuovo diritto umano alla conoscenza.
E, alla luce di quanto sta accadendo in America sull’aborto, dovremmo riprendere lotte antiche,
evidentemente finite in mani cattive o incapaci.
Come dicevo, questo consiglio si tiene a 7 mesi dal Congresso italiano che adottò all’unanimità un
documento politico1 con il quale si invitavano gli organi dirigenti
– a valutare l’opportunità di denunciare nelle sedi opportune gli organi di informazione
radiotelevisivi, pubblici e privati, per l’esclusione del Partito Radicale dal sistema mediatico
politico e a richiederne i dovuti risarcimenti.
– a valutare l’opportunità di affiancare alla campagna referendaria un pacchetto di proposte
di legge di iniziativa popolare sui temi della giustizia; sul tema della libertà e diritto di
informazione e di servizio pubblico radiotelevisivo; della riforma elettorale in senso
Uninominale a turno unico.
Sul primo punto, con Irene Testa e Marco Beltrandi, ci siamo concentrati sulla campagna
referendaria. Abbiamo prima ottenuto un richiamo formale da parte dell’AgCom
alla concessionaria delservizio pubblico radiofonico televisivo e multimediale e tutti i fornitori
di servizi di media audiovisivi e radiofonici operanti in ambito nazionale affinché assicurino
una immediata e significativa inversione di tendenza rispetto a quanto rilevato garantendo
una adeguata copertura informativa ai temi dei referendum
mentre, con una seconda denuncia, abbiamo ottenuto la riparazione con un programma di due ore.
Questo è solo un primo passo, con Irene e Marco concorderemo le prossime iniziative.
Sul secondo punto, abbiamo valutato che non ci fossero le condizioni per affiancare alla già difficile
campagna referendaria un pacchetto di proposte di legge. Ma è una indicazione che abbiamo
presente e che intendiamo realizzare.
Non possiamo non fare una analisi anche del voto referendario, ma soprattutto di una campagna
che, per noi, è durata oltre un anno.
Per fare una analisi corretta dobbiamo tornare a prima dell’incontro di febbraio con Salvini; da pochi
mesi si era tenuto online il X Congresso degli iscritti italiani che si era concluso senza un documento
politico; non avevamo interlocutori politici, tranne la Ministra Cartabia; di attenzioni da parte dei
mass media neanche a parlarne. Di giustizia se ne parlava in ragione del caso Palamara, con il quale
abbiamo interloquito per alcuni mesi.
La campagna referendaria ha innanzitutto ottenuto che si parlasse pubblicamente di giustizia, ha
dato forza alla Ministra Cartabia, ha costretto obtorto collo i media a parlare, anche se malvolentieri
e con parsimonia, del Partito.
Alla fine della campagna referendaria, promossa e portata avanti dalla Lega e dal Partito Radicale,
dieci milioni di persone sono andate al voto, e la maggioranza ha votato SI a tutte le proposte. È
chiaro che non abbiamo raggiunto l’obiettivo che consisteva nell’abrogare le leggi sottoposte a
referendum. Non possiamo trascurare il fatto che, contrariamente a tutte le previsioni, anche i
quesiti su legge Severino e l’abuso di custodia cautelare hanno raccolto tra i votanti la maggioranza
di abrogazionisti.
A chi era preoccupato che il Partito non avrebbe avuto spazi, faccio presente che abbiamo gestito
spazi che sono stati il triplo degli spazi di qualunque altra forza politica o comitato. Questo anche
grazie alla generosità di Andrea Piani che ha messo a nostra disposizione gli spazi dell’associazione
giustizia giusta.
Abbiamo quindi deciso con Irene di far occupare questi spazi da persone altre da noi, Irene non ha
partecipato a nessuno spazio, io ad uno, nonché all’ora di riparazione che ci ha concesso l’AgCom.
Qualcuno ci ha rimproverato il disimpegno di Matteo Salvini, basti dire che dopo il voto ha
rivendicato l’iniziativa e rilanciato il rapporto con il Partito. E durante la campagna, Salvini come
tantissimi militanti e dirigenti è stato impegnato tanto nella campagna elettorale che in quella
referendaria. Forse si voleva un impegno radicale, ma Salvini è il leader della Lega.
Non posso tralasciare di sottolineare l’impegno, l’entusiasmo, la generosità del vicepresidente del
Senato Roberto Calderoli che con Irene Testa ha scritto al Presidente della Repubblica ed insieme
alla sottosegretaria Tiziana Nisini ed oltre duecento persone hanno fatto lo sciopero della fame per
9 giorni proprio sulla mancanza di informazione. Così come voglio ringraziare Irene per avere messo
a disposizione, visto che l’ha pagato con i soldi suoi, il libro “il fatto non sussiste” che è stata
occasione di dibattito e di conoscenza di nuovi compagni di strada e di Partito Radicale.
Li ringraziamo tutti per la loro partecipazione e disponibilità.
Chiudo questo capitolo sottolineando che nei giorni scorsi, a seguito di una iniziativa presa con Irene
Testa, Giulio Terzi e l’avvocato Ezechia Paolo Reale, la Ministra Marta Cartabia in tre mesi è riuscita
a far scrivere il “codice dei crimini internazionali” si potrà così adempiere agli obblighi
internazionali assunti dall’Italia a seguito della ratifica dello Statuto di Roma della Corte
penale internazionale, dopo 20 anni dalla sua entrata in vigore e dopo 24 dalla sua firma.
Come dicevo all’inizio, ci sono state una serie di aggressioni al Partito. Premetto subito che, anche
per quanto riguarda queste aggressioni, l’atteggiamento da assumere sia quello che stanno avendo
gli ucraini di fronte all’aggressore russo.
Lungi da me pensare che i fatti che adesso metterò in fila siano conseguenza di un complotto ordito
ai danni del Partito, il danno c’è ma credo che sia l’esito di una serie di casi.
Partirò dalla cosa più grave: il Prof. Giuseppe Di Federico che preannuncia che non si iscrive più al
partito radicale ma “a organizzazioni radicali i cui responsabili hanno una maggiore caratura radicale
e cioè quella presieduta da Rita Bernardini (Nessuno tocchi caino) e quella di Marco Cappato
(Associazione Luca Coscioni).”
Chiedo scusa, non frequento da poco l’ambiente, ma la storia della caratura radicale mi è sfuggita
e quindi taccio.
Perché il Prof. Di Federico sente l’esigenza di fare questa affermazione?
Nel novembre del 2016 ho annunciato che avrei costituito una Fondazione Marco Pannella per
mettere al riparo il patrimonio posseduto dalla Lista Marco Pannella.
Ho quindi deciso che avrebbero fatto parte della Fondazione i soci superstiti della Lista Marco
Pannella, Aurelio Candido e Rita Bernardini. Decisione quindi che non teneva conto di carature di
alcun tipo. Anche la scelta di chi avrebbe fatto parte della Lista Pannella fu fatta con Marco sulla
base del principio “chi portiamo dal Notaio?”. Questo perché nel febbraio del 1992 l’associazione
era uno strumento necessario a presentare le Liste alle elezioni, aveva sede presso la casa di
Pannella e non possedeva una lira di patrimonio.
Quindi, punto primo: sono io che ho chiesto a Rita Bernardini di fare parte della Fondazione pur non
avendone alcun obbligo.
Quando la Prefettura ci comunica informalmente che ci sono dei problemi con le certificazioni, lo
comunico a Rita Bernardini, alla presenza di Irene Testa, dicendo che avrei provveduto a richiedere
i certificati del casellario giudiziale di noi tre. Rita mi dice che sicuramente è per le sue condanne e
che si sarebbe dimessa; gli rispondo che avremmo atteso i certificati e in caso avremmo cercato una
compensazione.
Punto secondo: è Rita Bernardini che offre le dimissioni non sono io che gliele chiedo.
Dopo alcuni giorni vado da Rita a chiedergli in quale giorno andare dal Notaio per procedere con le
dimissioni. Mi comunica che ci ha ripensato, che ha realizzato che la voglio fare fuori, che si è pentita
di essersi fidata, che non ha mai visto lo Statuto, che vuole fare una iniziativa politica e che non
avrebbe mai chiesto la riabilitazione. Gli faccio presente che io ho firmato una fideiussione di oltre
4 milioni di euro, che è necessario fare ricorso al 5 per mille (che, ma è un caso, già ricevono Nessuno
Tocchi Caino e l’Associazione Luca Coscioni) e che se succede qualcosa vendo la radio, Rita mi
risponde e vendila, a quel punto esco dalla stanza.
Chiedo per iscritto alla Prefettura le ragioni per le quali non arriva il riconoscimento.
Ci rispondono che Rita Bernardini non ha i requisiti per far parte del Consiglio di Amministrazione.
Rita scrive alla Prefettura facendo tra l’altro presente che nelle stesse condizioni si sarebbe trovato
Pannella e quindi vorrebbe dire che nemmeno Marco Pannella vivo ne potrebbe far parte e/o
ottenerne il riconoscimento.
In realtà, ad un certo punto Marco Pannella non poteva candidarsi nella Lista Pannella perché
era stato condannato per vilipendio alle forze armate; volendo candidarsi ci occupammo di
procedere alla richiesta di riabilitazione nei confronti del Ministero della Difesa.
La Prefettura ci da dieci giorni di tempo per decidere cosa vogliamo fare altrimenti la lettera è da
considerarsi quale “preavviso di rigetto all’iscrizione”.
Il giorno successivo ho chiesto a Rita di conoscere le sue determinazioni utili a rimuovere gli ostacoli
che impediscono il riconoscimento della Fondazione; richiesta rimasta senza risposta.
Dopo cinque giorni, procedo con la convocazione del Consiglio di Amministrazione per rimuovere
gli ostacoli e quindi ottenere il riconoscimento della Fondazione.
Quello che ho letto nei giorni successivi interessa più la onorabilità della Fondazione che del Partito
Radicale e per rispetto degli altri consiglieri non ho alcuna intenzione di preannunciare in questa
sede cosa proporrò al Consiglio di Amministrazione.
Se questo episodio, con le ripercussioni che Rita ha voluto che avesse, non necessariamente come
volontà ma certamente come conseguenza immaginabile, in un primo momento mi è parso casuale
ad una attenta lettura di quello che è accaduto dal 2019 a pochi giorni fa potrebbe invece essere
causale.
Infatti, poche ore prima che iniziasse il Congresso, fui raggiunto da Sergio d’Elia mentre ero con
Antonella Casu e Antonio Cerrone, il quale ci comunicò che lui, Elisabetta Zamparutti e Rita
Bernardini si sarebbero occupati di Nessuno Tocchi Caino.
Eppure, eravamo riuniti insieme fino a poche ore prima, avevamo concordato nei dettagli lo Statuto
e nulla lasciava presagire questa decisione presa altrove.
Alcuni mesi dopo, durante una riunione Sergio ci comunica che essendo la campagna sulla pena di
morte vinta, Nessuno Tocchi Caino si occuperà di giustizia. Intanto porta avanti la campagna di
iscrizioni “abbiamo salvato il Partito Radicale adesso salviamo Nessuno Tocchi Caino”.
Alcuni giorni fa il caso vuole – è il caso di dirlo! – che l’ONU ci invia della documentazione dalla quale
risulta che Nessuno Tocchi Caino e l’Associazione Luca Coscioni hanno chiesto il riconoscimento
simile a quello del Partito Radicale da parte dell’ONU.
Sempre alcuni giorni fa, il Presidente delle Camere Penali con tutte le camere penali ha attaccato il
Partito Radicale. Non risponderò a tutte le “inesattezze” che sono state dette, mi interessa
registrare questa casuale convergenza temporale.
In queste condizioni politiche, e in quelle economico finanziarie delle quali parlerà Irene, la
conclusione da trarre è che ci aspetta una ulteriore traversata nel deserto, durante questa
traversata dovremo studiare le possibili forme di iniziativa per uscire dall’accerchiamento.
Non potremo farlo in questa sede, non ci sono i tempi necessari per i dovuti approfondimenti, oggi
è importante la condivisione o meno di una analisi politica.
Per questo chiedo che il Consiglio generale faccia sua e assuma come propria delibera il testo di
questa relazione.