“Oggi sono stata con Irene Testa in visita ai detenuti di Regina Coeli. Sono entrata in quel carcere per la prima volta a 13 anni per trovare un padre trasformato improvvisamente in un mostro. Sapevo già tutto. Le celle, la disposizione dei letti, lo scandire delle ore in una giornata afosa e interminabile. Chiunque si sarebbe sentito a disagio lì, ancora di più una donna, penso. Io no. Mi muovevo e ascoltavo quei detenuti ( ognuno con la sua storia e con la sua verità) come se fossi uno di loro. Regina Coeli ha una capienza di circa 600 posti. Ci sono circa 900 persone. Per lo più stranieri e per reati legati alla droga. Persone in transito che potrebbero espiare la condanna altrove. Ho visto gli agenti di polizia penitenziaria (sottonumero) che resistono nonostante tutto. Ma ne mancano circa 300 e molti andranno in pensione. Ma sopratutto ho visitato quello che chiamano il “repartino” ovvero una sezione dove sono rinchiuse persone con gravi problemi psichici. Ed è li che sono rimasta senza fiato. Non era un film. Uomini dondolanti,con lo sguardo perso come la mente, soli in celle vuote senza nulla perché con tutto si possono fare male. Uomini vivi già morti. Non è ammissibile che persone con queste patologie stiano li. Finirebbe di impazzire chiunque. Ma per passare nelle strutture adatte c’è la lista di attesa e così restano a marcire in quelle celle. Regina Coeli è una delle realtà carcerarie più complesse e al limite della sopportazione. Ogni giorno. Sono uomini che hanno sbagliato ma a cui non stiamo offrendo alcuna possibilità di riabilitazione in questo modo. Ho pensato a mio padre in quella cella. Papà sapevo già tutto. Ricordo i tuoi diari e le tue giornate scandite dagli orari del carcere.I tuoi racconti. È ancora tutto uguale. Quando il comandante che ci accompagnava nella terza sezione ha saputo chi ero ha iniziato a chiedermi scusa. Non capivo perché. L’ ho capito alla fine. Anche loro, quegli uomini vivi ma già morti lo avevano capito, prima di tutti #REFERENDUMGIUSTIZIA“.