XI Congresso degli iscritti italiani. Intervento della dott.ssa Alessia Colonnelli, curatrice della rassegna stampa araba di Radio Radicale.

Con il mio intervento vorrei rivolgere l’attenzione verso alcuni dei paesi che compongono la vasta area arabo-islamica. La complessità della regione e i limiti di tempo non permettono di fornire una panoramica esaustiva; pertanto, mi concentrerò solo su alcune realtà, quella maghrebina e quella afghana, con la speranza di stimolare riflessioni all’interno del nostro partito e possibili reazioni.

Gli aggiornamenti che ci arrivano da questa macroregione non sono molto incoraggianti, in realtà.

Recentemente ci sono stati sviluppi nelle relazioni tra Algeria e Marocco. L’Algeria ha infatti deciso di congelare le relazioni diplomatiche con il Paese limitrofo, a seguito di quella che il presidente algerino definisce “la politica ostile” del Marocco. I due Paesi sono da anni in conflitto principalmente a causa della questione del Sahara occidentale, a cui ultimamente si è aggiunta la normalizzazione delle relazioni tra Marocco e Israele, manovra che l’Algeria critica fortemente.

Il giovane governo algerino, comunque, si trova ad affrontare problematiche anche interne. Nonostante la stampa ufficiale dichiari che l’Algeria sia entrata in una fase “nuova” e che le richieste del Movimento di protesta nazionale che aveva portato alla caduta dell’ex presidente Bouteflika siano state ascoltate, il governo in realtà non gode di completa legittimità ed anzi continua ad essere criticato per il deterioramento delle condizioni socioeconomiche e per la situazione dei diritti umani nel Paese.

Le autorità sembrano reagire al dissenso interno al paese in modo assertivo. Attualmente assistiamo in Algeria a una campagna di arresti e fermi di cui prime vittime sono giornalisti/e, difensori/e dei diritti umani. Il Partito Radicale ha seguito, solo per citare un esempio, il caso di Kamira Nait Sid, copresidentessa della ONG internazionale “Consiglio Mondiale Amazigh” – che agisce in difesa dei diritti delle minoranze berbere indigene dei Paesi africani -, la quale si trova ancora in stato di arresto con l’accusa di minaccia all’unità nazionale e alla sicurezza dello Stato” e di “appartenenza a un’organizzazione terroristica”. Ricordo che in Algeria vi sono varie comunità di berberi, che protestano perché sottorappresentate.

Anche in Tunisia ci sono stati sviluppi inquietanti. Il presidente Kais Saied ha recentemente sciolto il governo arrogandosi pieni poteri nella gestione del Paese. Da parte sua, il Presidente ha giustificato questa manovra affermando di voler correggere ciò che di sbagliato la classe politica tunisina presentava, riformandola all’interno del quadro della Costituzione.

Inizialmente acclamato dal popolo, il presidente è ora sempre più oggetto di critiche per aver ritardato la formazione di un nuovo governo e aver mantenuto il Paese in stallo politico per molti mesi. Molte voci critiche parlano di una gestione dispotica dello Stato, di violazione costituzionale e di diritti umani. Seguiremo i prossimi sviluppi della politica tunisina e le prossime azioni del neo-governo formato.

In Sudan la scorsa settimana i militari hanno preso il controllo dello Stato attraverso un golpe che ha messo fine alla attività del governo di transizione che avrebbe dovuto guidare il Paese alle elezioni del 2023. Anche in questo caso, il generale Abdel Fattah Burhan, alla guida dell’esercito, ha affermato che il golpe è avvenuto per proteggere il Paese e la rivoluzione da un esecutivo incapace. Nonostante l’esercito si sia fatto portavoce della sicurezza del popolo e abbia dichiarato di voler assicurare il futuro passaggio del potere a un esecutivo civile, questi avvenimenti sono inquietanti, anche considerando che le manifestazioni popolari contrarie al golpe sono state represse.

L’Afghanistan è un caso a parte, pertanto vale la pena soffermarvisi maggiormente.

L’Afghanistan è un paese complesso, come complessa è la conformazione del territorio, per gran parte ostile, montuosa, rurale. L’Afghanistan è anche un paese etnicamente eterogeneo. I principali gruppi etnici sono: Pashtun, Tagiki, Hazara, Uzbechi, Aimak, Turkmeni, Baluchi.

Brevemente, ed anche, purtroppo, semplificando molto, l’Afghanistan è oggi sotto la guida talebana ed ha preso la forma dell’emirato islamico (prima era una Repubblica islamica). I Talebani (o Taliban) sono un gruppo fondamentalista islamico, a maggioranza Pashtun. Con l’intervento USA post 2001 questo non è stato mai completamente vinto, ed è infatti tornato a rafforzarsi recentemente, raccogliendo proseliti tra la popolazione, particolarmente nelle zone rurali, facendo leva sul sentimento religioso e denunciando le incapacità delle autorità allora alla guida del Paese.

Dobbiamo tenere presente, infatti, la crisi di legittimità di cui soffriva il governo afghano pre-taliban e il generalizzato dissenso che caratterizzava questo governo, considerato prodotto delle potenze occupanti, corrotto e incapace di apportare cambiamenti positivi.

Oggi, nonostante i Taliban siano al potere, difficilmente mantengono il controllo della totalità del territorio, essendo presenti sacche di resistenza e opposizione, sia armata che pacifica Io non conosco molte realtà di resistenza in Afghanistan, ma posso citarne due, due piccole realtà: RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), un’associazione di donne e Hambastagi, letteralmente Partito della Solidarietà, un partito laico.

Gli sviluppi dei primi mesi dell’anno hanno visto come protagonisti principalmente USA Talebani e Qatar. A Doha, infatti, è stato concluso un accordo tra le prime due potenze, senza la rappresentanza dell’allora governo al potere guidato dal presidente Al Ghani.

L’accordo prevedeva, tra le cose, il progressivo ritiro delle forze americane dal paese e l’impegno dei talebani di non offrire sostegno a organizzazioni terroristiche che avrebbero potuto costituire una minaccia per l’America, così come l’impegno dei talebani di avviare una fase di colloqui con il governo afghano per una ridefinizione più inclusiva dell’apparato politico del Paese, all’interno del contesto del processo di pace, da portare avanti dopo anni di guerra.

Tuttavia, il movimento talebano considera il governo afghano, ormai deposto, illegittimo, e l’assenza di quest’ultimo ai colloqui di Doha ha in un certo senso prefigurato ciò che sarebbe successo.

I talebani prendono il controllo della capitale Kabul il 15 agosto. A breve formano un governo (a maggioranza Pashtun, di cui il premier è il mullah Mohammad Hasan) e in questi mesi assistiamo alle prime attività diplomatiche dell’esecutivo Talebano, che cerca di legittimarsi, nonostante ufficialmente nessun paese abbia finora riconosciuto tale governo.

Un primo problema dell’Afghanistan dopo l’arrivo dei Talebani al potere è stato il blocco degli aiuti internazionali, dai quali il Paese è fortemente dipendente. È stato un duro colpo, a cui si sono aggiunti il congelamento dei beni dell’Afghanistan detenuti all’estero e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e del costo della vita.

Temendo un disastro umanitario, l’aumento della povertà e l’instabilità, considerando che anche prima del crollo del governo l’Afghanistan stava affrontando sfide economiche e di sviluppo importanti, varie parti si sono mobilitate, sia il governo talebano (il quale cerca alleati esterni) che le istituzioni internazionali.

L’Unione europea ha recentemente promesso un pacchetto di aiuti di emergenza da 1 miliardo di euro all’Afghanistan e ai Paesi vicini, durante il vertice virtuale del G20 straordinario, ospitato dall’Italia e dedicato all’Afghanistan.

Come sappiamo e come abbiamo visto nei media, molte persone hanno cercato e stanno ancora cercando di lasciare l’Afghanistan.

Secondo un recente rapporto di Human Rights Watch, le categorie di popolazione che più rischiano ripercussioni da parte delle autorità talebane sono attivisti/e, difensori/e dei diritti umani, giornalisti/e, personalità che lavorano nel campo della giustizia o funzionari del precedente governo, minoranze etniche o religiose (di cui a breve parlerò). È necessario che i governi facciano il possibile per facilitare questi flussi umani attraverso l’adozione di politiche multidimensionali.

Lo stesso rapporto dà alcuni spunti su cui a mio avviso è davvero importante che la politica rifletta. Ne voglio citare alcuni:

1.         Espandere i percorsi per gli afghani che cercano il passaggio fuori dal paese, ricordando che il “diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” è un diritto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.

  • Supportare gli afgani nei paesi vicini e nelle destinazioni successive affinché abbiano un trattamento consono e in linea con il rispetto dei diritti umani.

Questo punto viene in rilievo anche per quanto riguarda la necessità di garantire il rispetto del principio di non refoulement, divenuto ormai norma consuetudinaria e che vari Paesi, come Iran e Pakistan, hanno violato.

  • Espandere i percorsi complementari per l’immigrazione afghana.

Questo significa che i governi dovrebbero garantire ulteriori percorsi, oltre ai sistemi di rifugio e di asilo per facilitare una migrazione ordinata e sicura degli afgani. Questi percorsi, suggerisce il rapporto di HRW, possono includere programmi speciali sviluppati per gli afgani, sponsorizzazioni private e comunitarie, ricongiungimento familiare e altri.

Nonostante il governo italiano abbia intrapreso alcuni di questi percorsi, vi sono ancora degli ostacoli.

Qualche tempo fa sono entrata in contatto con una persona afghana che chiedeva informazioni per avviare le procedure di ricongiungimento familiare. Mentre gliele spiegavo mi rendevo conto non solo delle pochissime possibilità di buona riuscita della procedura (considerando che questa implica il riferimento a istituzioni del Paese, che sono le prime ad ostacolare questi viaggi), ma mi rendevo anche conto che questa persona non avrebbe mai potuto portare al sicuro le sue sorelle, per via della ristretta definizione di famiglia nucleare contemplata dalla normativa italiana.

Pertanto, i governi potrebbero anche considerare di rivedere le norme in vigore, ampliando, ad esempio, la definizione di famiglia nucleare.

Il tema minoranze necessita di particolare attenzione. Non posso offrire una panoramica esaustiva della condizione delle minoranze in Afghanistan, ma posso sicuramente dire che minoranze etnico-religiose, come ad esempio gli Hazara, sono particolarmente esposte a violazioni di diritti, come lo sono sempre state.

Giusto per citare un esempio, sono stati monitorati episodi di espropriazione di proprietà e terreni da parte dei Taliban e nei confronti di comunità sciite Hazara in varie province del Paese.

Questi sfratti sono avvenuti in modo coercitivo, pressoché arbitrario (non essendoci possibilità di ricorso), e con pochissimo preavviso, lasciando dunque le comunità senza alternative di collocazione.

Secondo HRW, gli sgomberi hanno preso di mira le comunità sciite Hazara, così come le persone associate al precedente governo, come forma di punizione collettiva, essendo le terre espropriate state poi distribuite ai sostenitori dei funzionari talebani.

Ricordo che il diritto internazionale vieta gli sgomberi forzati.

Le comunità sciite sono anche prese di mira dallo Stato Islamico della provincia di Khorasan, gruppo armato affiliato allo Stato Islamico ISIS e altro attore che si nutre dell’instabilità afghana, che ha recentemente rivendicato la responsabilità di attacchi mirati alla comunità sciita Hazara.

Voglio dedicare un’ultima attenzione alla questione della condizione delle donne in Afghanistan.

Ovviamente, come sappiamo, la condizione femminile nel paese è nettamente peggiorata con l’introduzione di un nuovo riferimento giuridico. Attualmente, giusto per citare degli esempi, c’è un limite di età per l’istruzione delle bambine, fissato a 12 anni, le insegnanti sono ammesse a lavorare solo in un’ottica residuale e la sede dell’ex Ministero per gli affari femminili è divenuta quella per il Ministero per la preghiera, la prevenzione del vizio e la promozione della virtù.

Queste regole trovano la loro giustificazione nella lettura ultra-conservatrice dell’Islam e della Sharia in quanto fonte di diritto. Ci tengo a ricordare che vi sono una miriade di interpretazioni della Sharia su cui si basano le legislazioni dei Paesi. Quella istituzionalizzata dai Talebani è una delle varie, una delle più liberticide e lesive dei diritti umani.

In quanto ente di ispirazione transnazionale, il Partito Radicale può riflettere e attivarsi in modo da esercitare pressioni per la salvaguardia dei diritti delle donne riconosciuti a livello internazionale. (Ricordo che sul sito del Partito vi è un appello sull’Afghanistan ancora attivo).

Tuttavia, a mio avviso, deve farlo considerando alcuni punti: è importante, ad esempio, anche qui, considerare il gap tra ambienti urbani e rurali. In questi due ambienti la percezione che le donne hanno di sé stesse e del loro ruolo nella società è diversa.

Abbiamo visto le manifestazioni organizzate da alcuni gruppi di donne, attiviste, che coraggiosamente continuano sporadicamente a manifestare per la difesa dei propri diritti, rischiando minacce, soprusi e repressione. Questo difficilmente avverrebbe nell’Afganistan rurale.

Considerare questo gap significa riflettere sul fatto che l’emancipazione femminile è un progetto che deve essere costruito localmente, dalle popolazioni di un paese in accordo con le specificità del Paese stesso. È importante approcciare questo tema allontanandoci, anche con il linguaggio che usiamo, a mio avviso, dall’approccio ‘salvifico’ che è prevalso in questi mesi (e che è lo stesso utilizzato dalla propaganda americana, per questo tanto odiato dalle attiviste afghane stesse).

Allontanarci noi e correggere chi lo usa tra i nostri rappresentanti. E concentrare i nostri sforzi invece sull’allacciare legami con le realtà associative radicate sul territorio o che hanno legami diretti con il territorio, che resistono all’imposizione di questo nuovo sistema normativo; così da divenire i portavoce delle loro istanze e dei loro progetti, offrire il nostro sostegno attraverso i mezzi che abbiamo, che sono nazionali e internazionali. Ho citato prima RAWA perché è quella che conosco di più, ma è solo un esempio.

Un ultimo punto, prima di concludere, riguarda il fatto che, pur essendo la preoccupazione per le donne afghane giusta e buona nelle intenzioni, credo che i discorsi esclusivisti e concentrati sui diritti di categorie particolari, non siano perfettamente utili a comprendere il vero punto della situazione: cioè il regime dei Taliban è illegittimo perché è in contraddizione con significativi aspetti del diritto internazionale. Nel parlare dei diritti delle donne in Afghane dunque, è sempre importante inserire la condizione della donna nel contesto liberticida che è proprio del sistema talebano nella sua completezza.


Un approccio che prenda in considerazione le sfaccettature e le specificità che un paese come l’Afghanistan presenta, e una conoscenza approfondita del Paese, è a mio vedere l’approccio vincente nel campo della cooperazione, per non ricadere nell’ottica salvifica che per anni ha giustificato la presenza militare americana nel paese, e che non ha apportato poi i grandi benefici che la sua propaganda aveva paventato, ma anzi ha lasciato un paese con strutture deboli e incapaci.

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