Nel 2013 la Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani, ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu). Il caso riguarda trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. La grave mancanza di spazio sperimentata dai ricorrenti , costitutiva di per sé un trattamento contrario alla Convenzione; la mancanza di acqua calda per lunghi periodi, nonché di illuminazione e di ventilazione insufficienti nelle celle, hanno causato ulteriore sofferenza, benché non abbiano costituito di per sé un trattamento inumano e degradante. Questo quadro comprende la totalità degli edifici carcerari da Nord a Sud e le carceri campane non fanno eccezione. La condizione di degrado materiale degli istituti non solo pregiudica la qualità delle condizioni detentive e lavorative, ma espone l’Italia al rischio di sanzioni europee e al discredito internazionale, come peraltro già successo, minando alla base quegli stessi principi e quelle stesse norme. La carenza di risorse economiche è riconducibile allo stato deficitario che complessivamente ci caratterizza. Solo un’adeguata riforma strutturale della cosa pubblica – e conseguentemente anche delle modalità di appalto e realizzazione delle carceri – potrebbe far intravedere scenari positivi. Sarà il ventilato Recovery Fund a fornirci risorse per evitare alla persone di “finire al fresco”?
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