Per il governo polacco, il Paese ha bisogno di tempo per discutere una sentenza della Corte che vieta la maggior parte degli aborti dopo che il provvedimento non è entrato in vigore come previsto dopo due settimane di proteste di massa.
La sentenza del 22 ottobre, che vieta le interruzioni per difetti fetali, ha messo fine a uno dei pochi motivi legali rimasti per l’aborto in un Paese cattolico con un governo profondamente conservatore. Mentre si concentravano in gran parte sul diritto all’aborto, le proteste si sono rapidamente trasformate in un’esplosione di rabbia contro il governo nazionalista. Un gruppo di esperti indipendenti dell’ONU in materia di diritti umani ha denunciato la sentenza, “sbattendo la porta in faccia” alle interruzioni di gravidanza sicure e legali. Prima della sentenza, la Polonia aveva già una delle leggi sull’aborto più restrittive d’Europa, resa ancora più restrittiva nella pratica con gravi barriere e stigmatizzazioni, secondo gli esperti dei diritti. L’interruzione di gravidanza era consentita solo in tre circostanze: rischio per la vita o la salute della donna incinta; grave e irreversibile deterioramento del feto; o gravidanza come risultato di un atto proibito. In qualità di Stato parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici (dal 1977) e della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (dal 1980), la Polonia ha l’obbligo legale di sostenere queste norme internazionali sui diritti umani, hanno sottolineato gli esperti. I meccanismi internazionali dei diritti umani riconoscono il diritto delle donne ad accedere all’aborto sicuro e legale come necessario per la protezione della dignità e dell’uguaglianza delle donne e implicito nel diritto all’uguaglianza, nel diritto alla vita privata, nel diritto di essere libere da trattamenti inumani e nel diritto ai più alti standard raggiungibili, aggiungendo che la decisione della Corte costituzionale “va chiaramente contro questi standard”.
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