Di Alessio Falconio, Articolo 21
Più che un giornalista radicale, Antonio Russo era un radicale giornalista. Il suo racconto delle guerre era molto politico, ci si scorgevano in controluce le scelte degli stati occidentali e delle potenze del blocco dell’est, la politica estera, energetica o dell’industria bellica. Riuscì ad evidenziare la crisi dell’Unione Europea e dell’Onu che avrebbero poi caratterizzato l’inizio degli anni duemila. Le sue corrispondenze ci hanno fatto comprendere prima del tempo come la mancanza di una politica estera e di difesa comuni avrebbero fatto dell’UE, paralizzata dai contrapposti interessi degli stati fondatori di fronte alla Jugoslavia che diventava ex, l’imbelle testimone di fronte ai massacri commessi in Kosovo dalle truppe di Milosevic, nella Pristina a cui diede voce, ultimo giornalista occidentale rimasto, nel corso dei rastrellamenti dell’esercito Serbo.
Così come ha illuminato a giorno la Russia che da poche settimane aveva visto giurare da Presidente quel Valdimir Putin che dal dicembre 1999 regna incontrastato al Cremlino. L’ambasciatore di Mosca all’Onu chiese allora l’espulsione del Partito Radicale, accreditato come Ong all’Ecosoc(Consiglio Economico e Sociale), perché aveva dato spazio di parola ai rappresentanti del popolo ceceno, le cui sofferenze Antonio ogni giorno raccontava, documentando la durezza della guerra con l’esercito russo. Il tentativo di cacciare i radicali venne respinto, ma in quella vicenda già si intravedeva quanto nelle Nazioni Unite i paesi protagonisti delle violazioni più pesanti dei diritti umani andavano assumendo sempre più spazio negli organismi dedicati paradossalmente proprio a tutelarne il rispetto, evidenziando così sempre più le imbarazzanti contraddizioni del Palazzo di Vetro. Come ha denunciato due giorni fa il Partito Radicale, con l’elezione dei 15 membri che entreranno a far parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per tre anni a partire dal 1° gennaio prossimo, il fronte dei paesi totalitari e antidemocratici è in maggioranza. Cina, Cuba, Pakistan, Russia e Uzbekistan dovranno giudicare le violazioni dei diritti umani essendo loro stessi stati condannati per averli violati. Antonio era il cronista che venti anni fa quelle violazioni le raccontava e denunciava, pur sapendo quanto fosse rischioso per lui. Tra il 15 e il 16 ottobre del 2000 venne prelevato dalla propria abitazione di Tiblisi, in Georgia. Il suo cadavere è stato ritrovato dopo poche ore sul ciglio della strada che unisce la capitale georgiana alla località di Gombori. Il governo georgiano non esitò a parlare di una esecuzione con tecniche da “kgb”. In casa sua nessuna traccia del suo computer, della sua telecamera e delle cassette girate da lui, così come del suo telefono satellitare. Nessun processo fu mai celebrato per la sua uccisione.
Di Antonio ci restano le straordinarie corrispondenze dai teatri di guerra. Il modo migliore per conoscerlo è ascoltarlo dal nostro archivio, da oggi nella parte a lui dedicata completamente restaurato e digitalizzato grazie allo straordinario lavoro dei nostri archivisti e tecnici. Le sue corrispondenze dall’Algeria, dal Ruanda, da Sarajevo. Riascoltandole si potranno cogliere anche la sua umanità e la sua passione per la conoscenza dei popoli e dei luoghi che decideva di documentare. Non sceglieva mai come sede di corrispondenza gli alberghi internazionali un po’ tutti uguali, dei non-luoghi da cui è più difficile cogliere speranze, sofferenze e paure della gente che raccontava, per questo andava nelle loro case e come loro viveva. Di Antonio Russo restano una grande lezione di giornalismo e di umanità.