In piena epidemia si riscrive la storia.

Mentre in buona parte del mondo abbiamo solo iniziato a combattere la pandemia COVID-19, in una guerra – come la definiscono i virologi per l’impatto complessivo sulle società fin troppo simile a quella di una guerra convenzionale – che coinvolge tutti, Pechino si dedica a quel che è diventato un punto cardine dell’Amministrazione Xi: la propaganda del modello cinese come alternativa al modello della democrazia liberale. 

Siamo nel pieno “1984”: dopo la sorveglianza di massa – potenziati in modo esponenziale durante questa crisi in Cina, un’ampliamento che difficilmente verrà cancellato -, la censura dei medici che avevano avvertiti per l’epidemia e la sparizione delle voci critiche all’interno della Cina, e le bugie del regime per nascondere quanto stava accadendo in un momento dove la diffusione massiccia e globale poteva (forse) essere contenuta come ci dicono diversi esperti dopo le rivelazioni che il primo caso sarebbe già stato registrato il 17 novembre scorso, eccoci al prossimo passo: la riscrittura della storia su scala globale. 

Le istruzioni del Dipartimento centrale di Propaganda sono chiari: va contrastato in modo assoluto che il virus abbia la sua origine in Cina. Va affermato che il sistema cinese abbia comprovato la sua superiorità nel sconfiggere il virus. Il mondo deve ringraziare Pechino, e Xi Jinping in modo particolare, per i sacrifici compiuti. 

Fino al 27 febbraio, erano gli stessi media statali cinesi a riportare che probabilmente l’epidemia COVID-19 aveva avuto suo inizio nel mercato di Huanan a Wuhan, mercato che è stato chiuso all’inizio di gennaio. Il direttore stesso del Centro per il Controllo e la Prevenzione delle malattie cinese, Gao Fu, aveva dichiarato in una conferenza stampa del 20 gennaio che le autorità credevano che il virus potesse provenire da animali selvatici sul mercato del pesce, sebbene la fonte esatta non fosse chiara. 

Il cambio di rotta arriva il 27 febbraio, quando Zhong Nanshan, uno scienziato a capo del gruppo di esperti del governo che sovrintende gli sforzi per contenere l’epidemia dichiara durante una conferenza stampa che “il coronavirus è apparso per la prima volta in Cina, ma potrebbe essere nato altrove”. Le sue osservazioni hanno dato inizio a uno sfogo di commenti anti-americani sulle piattaforme social cinesi, suggerendo che il COVID-19 provenisse dagli Stati Uniti. Ma la teoria del complotto non rimane soltanto un’osservazione popolare. L’11 marzo, Lijan Zhao, portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese e Vice-direttore del Dipartimento di Informazione, commenta così le dichiarazioni del Centre for Disease Control americano su Twitter (mezzo di informazione che rimane vietato all’interno della Cina, ma ormai uno dei social preferiti di diplomatici cinesi all’estero): 

“CDC was caught on the spot. When did patient zero begin in US? How many people are infected? What are the names of the hospitals? It might be the US army who brought the epidemic to Wuhan. Be transparent! Make public your data! US owe us an explanation!”

(“Il CDC è stato colto di sopresa. Quando c’è stato il paziente zero negli Stati Uniti? Quante persone sono infette? Come si chiamano gli ospedali? Potrebbe essere stato l’esercito americano ad aver portato l’epidemia a Wuhan. Siate trasparenti! Rendete pubblici i vostri dati! Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione!”)

Il suo messaggio viene subito rilanciato dalle testate statali cinesi in inglese. Il 12 marzo, sempre su Twitter, il Global Times scrive: 

“As the US COVID19 situation becomes increasingly obscure, the Chinese public shares the suspicion raised by Zhao Lijan that the US might be the source of the virus and that the US is subject questioning and is obliged to explain the world.”

(“Man mano che la situazione del COVID19 negli Stati Uniti diventa sempre più oscura, l’opinione pubblica cinese condivide il sospetto sollevato da hao Lijan sul fatto che gli Stati Uniti potrebbero essere la fonte del virus e che gli Stati Uniti dovrebbero essere interrogati e obbligati a dare delle spiegazioni al mondo.”)

Questo è solo l’ultimo passo nelle varie strategie del Partito comunista cinese per nascondere quanto accaduto. Come scrive Massimo Introvigne su Bitter Winter:

“Alcuni giorni fa ho aperto la mia e-mail e ho trovato il messaggio di un collega cinese che mi domandava se fossi al sicuro dal «virus italiano». Non avevo mai sentito usare l’espressione «virus italiano» a proposito del COVID-19, ma poi ho appreso che altri avevano ricevuto messaggi simili e che gli amici cinesi domandavano ai giapponesi se fossero stati colpiti dal «virus giapponese».

Il PCC si propone di «sinizzare» tutto, comprese le religioni. L’unica cosa ad essere «de-sinizzata» è il virus. Esistevano solo prove aneddotiche di ciò fino a quando, il 9 marzo, il quotidiano cattolico di sinistra La Croix International (testata normalmente tutt’altro che ostile nei confronti della Cina) ha pubblicato un rapporto investigativo citando istruzioni riservate inviate una settimana fa alle ambasciate cinesi e ai compagni di viaggio in tutto il mondo. È stato chiesto loro di persuadere coloro che erano favorevoli alla Cina a non menzionare mai l’origine cinese del virus e di insistere sul fatto che «sebbene il virus abbia colpito gravemente Wuhan la sua origine è sconosciuta. Stiamo conducendo nuovi studi per individuare la vera origine del virus».

Secondo il rapporto, le ambasciate dovranno «sollevare dubbi» nell’opinione pubblica, suggerendo che forse il virus è arrivato in Cina dall’estero. Lo stesso articolo riferisce che l’ambasciata cinese a Tokyo ha iniziato a promuovere l’uso dell’espressione «virus giapponese» per designare COVID-19 (anche se ciò è stato negato dai media giapponesi) e che altre fonti cinesi menzionano un «virus italiano» o un «virus iraniano».

[…]

Tuttavia, ciò che sta accadendo ora è diverso. La propaganda del PCC sta insinuando che il virus è arrivato in Cina dall’estero per nascondere il fatto che il Partito ha mentito per settimane sull’entità della crisi, rendendola di fatto molto peggiore di quanto avrebbe potuto essere se denunciata tempestivamente.

Il PCC va ancora oltre. Chiede al mondo di «ringraziare la Cina» per la sua presunta perfetta reazione al virus. I media controllati dal PCC continuano a spiegare che i Paesi democratici non avrebbero potuto adottare misure così decisive come quelle adottate dalla Cina, perché la democrazia di tipo occidentale limita i poteri dei governi. Ciò dovrebbe dimostrare, ancora una volta, la superiorità del sistema non democratico cinese.

L’agenzia di stampa statale Xinhua ha annunciato la pubblicazione di un libro che sarà tradotto in sei lingue e spiegherà come la «straordinaria leadership del presidente Xi Jinping, un leader di grande forza» abbia sconfitto il virus. Il libro, ha commentato Xinhua, dimostrerà al mondo i «vantaggi significativi del sistema di potere cinese e del socialismo con caratteristiche cinesi» e illustrerà come «la leadership centralizzata e unificata del Comitato Centrale del PCC e del compagno Xi Jinping» abbia vinto la «grande guerra» contro il virus. Tutto questo, per gentile concessione del Dipartimento centrale per la propaganda del PCC.

Questo è un esempio da manuale delle fake news confezionate dal PCC. Di fatto, le menzogne del PCC e i ritardi nel riconoscere la crisi hanno aggravato l’epidemia. Commentando l’articolo di La Croix International, il sinologo londinese Steve Tsang ha affermato che «il PCC ha sempre avuto il monopolio della verità e della storia e che ora cerca di negare di aver da principio nascosto la verità sul virus. I funzionari del PCC affermano di avere ragione mentre è ovvio che hanno torto. In Cina hanno la loro “verità”, ma essa in occidente dovrebbe essere messa in discussione. Noi che viviamo nei Paesi democratici abbiamo il compito di smascherare la propaganda del PCC».”

Ecco: abbiamo il compito di smascherare la propaganda del PCC, che forse, “grazie a” gli sforzi straordinari ma poco sottili del Partito comunista, è sotto gli occhi di tutti più che mai. In questo momento è evidente quanti media e personalità politiche italiane sono “legati” al regime di Pechino, sia per accordi economici, Memorandum of Understanding, o convinzioni (sia ideologiche che di convenienza personale). Da lanci di propaganda cinese dall’agenzia statale Xinhua attraverso i canali ANSA e il titolo di Repubblica che il virus non viene dalla Cina, agli inchini sempre più spudorati del Ministro degli Affari esteri (ma non è certamente l’unico), per chi vuole vedere, il re è completamente nudo. 

Ed è il momento anche per noi di trasformare questa crisi – questa guerra – dell’informazione in un’opportunità. Bensì sono tantissimi gli accordi tra media statali cinesi e organi di informazione italiani (come sollevato in precedenti articoli), esiste una forza di resistenza nel mondo dell’informazione e della politica, a partire del Partito Radicale. Piuttosto che ringraziare,  continuiamo ad impegnarci nel svelare le bugie e le strategie intimidatorie di questo regime sanguinario, le cui vittime sempre di più non sono soltanto cinesi. 

Senza fare sconti e le dovute critiche alla gestione della crisi nel mondo occidentale – a partire dal mancato coordinamento tempestivo europeo – teniamo ben presente dove questa crisi ha avuto inizio e i tentativi del regime cinese di coprirlo: ribaltiamo la richiesta di spiegazioni lanciate dal Global Times all’Amministrazione americana e chiediamo l’accountability del regime cinese per quanto sta accadendo nel mondo, e soprattutto non lasciamo che su questa pandemia riscrivano la storia come già stanno facendo all’ordine internazionale.

Laura Harth

4 Comments

  • Claudio Mori 15 Marzo 2020

    Spiace dirlo, ma la storia del virys “italiano”, “giapponese” e così via ha una sua base, nel senso che il virus si è certamente modificato nel tempo e nella trasmissione. Esperti ci informano infatti che le varianti locali possono essere molte, e proprio per questo da non reimportare nel Paese di partenza.
    Che poi le autorità cinesi locali abbiano tentato inizialmente di coprire l’epidemia, negandola, ha comportato la loro condanna e allontanamento, ben pubblicizzate già a fine gennaio.
    Da ultimo mi stupisce questa posizione antiscientifica del PR, che sembra negare che l’epidemia locale non vada combattuta e soprattutto resa meno grave nei numeri con provvedimenti restrittivi della libertà personale del cittadino.
    Aver dimenticato come i Governi italiani degli anni 40/50 in Italia abbiano sconfitta una epidemia di poliomielite con il confinamento dei soggetti più a rischio, i bambini, mi pare degno di negazione della storia oltre che di diffusione di notizie pericolose nel momento attuale.

  • Biagio Di Maria 15 Marzo 2020

    In Cina è fuori discussione che viga una dittatura capital-comunista. Ma in quella sterminata nazione hanno avuto mai esperienze democratiche? E’ democrazia quella di Hong Kong, con profonda cultura british? E’ un’economia liberista? o socialista? o mista? Ma come mai, è l’unico Paese che ci ha offerto solidarietà concreta e non a parole? Mentre, Francia, oltre a ricorrere ad una squallida satira razzista, e Germania bloccano l’esportazione di mascherine, i cinesi, brutti, sporchi e cattivi, inviano 30 tonnellate di aiuti. Non volendo parlare del Paese democratico per eccellenza, gli U.S.A. Lo so perfettamente che ve ne strafregate del mio commento. A voi interessano i versamenti e le raccolte firme a comando. Ancora ricordo Capezzone,

  • Paolo Enrico Svampa 15 Marzo 2020

    ” … continuiamo ad impegnarci nel svelare le bugie e le strategie intimidatorie di questo regime sanguinario, le cui vittime sempre di più non sono soltanto cines … “.
    Mi domando, quando inizieremo ad occuparci della propaganda del regime imperiale e sanguinario USA?

  • Maurizio 16 Marzo 2020

    è incredibile come nel giro di pochi giorni ci si dimentichi di cos’è il governo cinese,
    di hong kong, dei diritti negati che noi abbiamo e non ne consideriamo l’importanza.
    Basta l’arrivo di un aereo di aiuti, a pagamento, e si sprecano gli elogi per tanta grazia

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